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Biografie

di Mattia Albera

James Hunt

Pilota Ufficiale

Campione del Mondo 1976

Nato a Belmont (Gran Bretagna) il 29 agosto 1947

Morto a Londra (Gran Bretagna) il 15 giugno 1993

Ricordare James Hunt significa ripercorrere, seppur brevemente, una vita spericolata che ebbe il suo momento di gloria proprio con quella McLaren che oggi, ancora una volta, rappresenta la maggiore avversaria del Cavallino rampante. James Simon Wallis Hunt (questo il suo nome completo) nasce a Belmont, nel Surrey, il 29 agosto 1947. Figlio di un agente di borsa, il giovane James venne cresciuto ed educato nelle migliori Scuole inglesi, tra cui la prestigiosa Westerleight School ad Hastings (East Sussex). Dimostrò un temperamento turbolento ed iperattivo fin dalla più tenera età. Da ragazzo riuscì a diventare un buon giocatore di tennis e squash. Le glorie sportive, aggiunte ad un’oggettiva bellezza personale, gli consentirono l’inizio di una precoce carriera di cacciatore di femmine.

Riuniti in un appartamentino di Londra, abitato da un gruppo di studenti, i giovanotti non sapevano cosa fare, quel giorno. Si erano un po’ stancati di discoteche, di ballo, delle altre cose che li tenevano di solito impegnati. Uno di loro propose un diversivo: «Perché non andiamo tutti a Brands Hatch, che non è lontano? Ci sono delle corse di automobili». Un’attività che non eccitava molto il gruppo, ma l’idea fu accolta con piacere. Sarebbe stata una giornata diversa, una cosa nuova. E fu così che tutto cominciò. Nel gruppo di studenti c’era anche il diciassettenne James Hunt, allegro movimentatore delle attività del gruppetto. A Brands Hatch, Hunt scoprì il «suo» mondo. Fu talmente entusiasmato dalle gare che decise di immergersi in quel mondo specialissimo, fino a ieri sconosciuto. «Capii che era quella la vita che faceva per me. E da allora ho cominciato a pensare al come arrivarci». Iniziò sin da giovane a coltivare un forte interesse per le competizioni automobilistiche, ma dovette finanziarsi da solo le sue prime gare.

Non era facile. Innanzitutto occorreva attendere l’età, un anno; e poi c’era il problema della macchina: per correre occorreva il mezzo. Risparmi su risparmi, ed intanto andava alle corse da spettatore. Finalmente mise insieme una sommetta, circa duecento sterline, che peraltro non bastavano. I genitori di James volevano un medico in famiglia, motivo per cui il ragazzo venne iscritto ad un corso di studi nel campo della medicina al Wellington College di Crowthorne (Berkshire). Nel 1967, il padre gli aveva promesso cento sterline per il suo 21° compleanno e lui le chiese i anticipo, ottenendole soltanto dopo intercessione di sua madre. E così arrivò la sua prima macchina, una Mini piuttosto sgangherata. Al posto di un vero sedile da pilota, c’era una vecchia sedia da giardino opportunamente adattata. Dopo quasi un anno era finalmente pronta per correre. O almeno lui lo credeva, perché quando si presentò a Silverstone, dove si era iscritto, i commissari lo rimandarono a casa, perché la sua macchina non era in regola: «Avevo speso fino all’ultima sterlina per arrivare fin là, solo per sentirmi dire che non potevo correre. Dovetti chiedere un prestito per rientrare».

Contro il volere della famiglia, James decise che avrebbe fatto di se un pilota di Formula 1, prospettiva decisamente più avventurosa che finire gli studi in medicina da poco iniziati. Nel 1968 finalmente riusciva a correre davvero. La Mini normale veniva sostituita da una Mini-Cooper, preparata da amici. Era l’anno dell'avvento della Formula Ford, con macchine monoposto, vere macchine da corsa secondo le sue idee. Era quel che gli ci voleva, ma c’era sempre la faccenda dei quattrini, di mezzo. Bene o male riusciva a metterli insieme, per «affittare» una Russell-Alexis Ford, che è stata il suo punto di partenza effettivo. Furono due anni molto duri, fatti di irruenza, ma anche di risultati abbastanza consistenti. Nella prima corsa, a Snetterton, era nelle prime posizioni, ma un successivo controllo del motore gli permetteva di scoprire che aveva corso con regolazioni sbagliate. Alla seconda corsa finiva secondo, ed alla terza arrivava la prima vittoria. Il suo nome cominciava a circolare.

In questa stessa categoria, James Hunt mostrò gli aspetti più difficili del suo carattere; li avrebbe conservati per tutta la Carriera, durante il quale fu protagonista di scontri e contrasti con gli altri piloti. Oltre alle sue personali inquietudini, ebbe anche diversi problemi meccanici, e solo in poche gare, in quella Stagione, riuscì a ottenere un buon piazzamento. Riuscì a demolire anche la macchina di famiglia, e durante una corsa la sua monoposto finì dentro un lago: fortuna volle che non potesse permettersi le cinture di sicurezza! Il pittoresco James Hunt sembrava un perfetto interprete della generazione post Beatles e Rolling Stones: quasi sempre attaccato al collo di una bottiglia e alla sottana di una modella. Rifiutava qualsiasi abito che non fosse un paio di jeans slavati e stracciati, una t-shirt scolorita. Girava in ciabatte (a volte anche a piedi nudi) e teneva lunghi quei suoi folti capelli biondi. Fumava 40 sigarette al giorno, beveva come una spugna, ed era sempre accompagnato da fantastiche donne mozzafiato. Lasciò l’Inghilterra e prese residenza nella villa di Fuengirola (Spagna) accanto ad un Night Club, per la bella vita e per sfuggire al fisco inglese. Lo soprannominavano “Hunt The Shunt” (Hunt lo scontro) per il suo stile di guida irruente in pista.

Nel 1969 iniziava con una macchina sua, una Merlyn comprata di seconda mano fino a che una Squadra consistente, la MRE/Hugues, che aveva problemi coi suoi piloti, lo chiamava a guidare una delle sue, E questo cominciava a sollevarlo dalle preoccupazioni finanziarie quotidiane. Correre in Formula Ford era divertente, ma anche difficile. La concorrenza era tantissima, le battaglie durissime. Visto che nella Squadra era rimasto solo e che c’erano due macchine, faceva presto a convincere la MRE che col prezzo di due Formula Ford si poteva avere una Formula 3, macchina più potente e per corse di maggior prestigio. Cosicché a metà del 1969 poteva finalmente allinearsi in una corsa al volante di una Brabham BT21 datata 1967 provvista di un motore del 1966. Ci dava dentro a fondo, ed a Brands Hatch, in agosto, era al secondo posto quando il primo, Stiller, sbandava davanti a lui. La collisione annullava tutto, ma il potenziale c’era. Tanto è vero che alla corsa successiva, a Caldwell Park, otteneva il giro più veloce, e finiva quarto soltanto perché nell’ultimo giro commetteva un errore. Con la sua macchina vecchissima era una prodezza, che non sfuggiva a chi cercava nuovi talenti. Alan Rees, allora direttore sportivo della March, gli offriva un posto nella Squadra ufficiale, per le ultime gare della Stagione, anche perché lo svedese Ronnie Peterson si era infortunato in Francia.

Nel 1970 però passava a una nuova monoposto, la Lotus, con la quale faceva sempre ottime cose ma non riusciva ad ottenere risultati. Piccoli guasti, rotture ed anche una notevole serie di incidenti. Arrivava però anche il primo successo internazionale, la vittoria nella gara di Formula 3 a Rouen les Essart, ottenuta con una rimonta eccezionale, dal fondo dello schieramento dove era stato confinato da noie durante le prove. Di fianco a lui era partito anche Wilson Fittipaldi, fratello di Emerson. Favorito anche dalla confusione provocata da un paio di brutti incidenti, nei quali trovavano la morte i francesi Salomon e Dayan, riusciva a passare in testa. E con questa vittoria terminava la sua permanenza nella Squadra Lotus, perché la March gli offriva di nuovo un posto nella Squadra ufficiale. Qui tuttavia non aveva molta più fortuna, perché gli incidenti si susseguivano. Vinceva la prima corsa del 1971, ma era squalificato per irregolarità del motore; aveva un bel numero di incidenti… finché un’accesa discussione coi dirigenti della March poneva fine al rapporto. Subito dopo, però, arrivava un invito che doveva rivelarsi di enorme importanza per la Carriera di Hunt.

C’era in giro una squadra curiosa, finanziata da un giovane patrizio inglese in cerca di emozioni, che aveva due piloti così così, uno dei quali era diventato troppo grasso per star seduto in maniera conforta bile nell’abitacolo. Era Bubbles Horsley il quale, cedendo il volante a Hunt, diventava Direttore della Squadra. La prima gara col nuovo Team era…simile alle altre: un pauroso incidente a Brands Hatch, nella gara di contorno del Gran Premio di Gran Bretagna. E Hunt, ferito, doveva star fermo per qualche settimana. Lui e la squadra erano persuasi che non avevano più niente da dimostrare in Formula 3, che era necessario salire. E così passavano alla Formula 2, utilizzando un telaio ottenuto dalla March quale «liquidazione» dopo il licenziamento in tronco. Con quella macchina si allineava alla «Rothmans 50.000», una corsa dotata appunto di 50.000 sterline, alla quale erano ammesse tutte le macchine. Con la sua Formula 2, Hunt terminava al quinto posto, un risultato da considerare eccellente. E poi era tra i primi in Austria, al Salzburg Ring, e terzo a Oulton Park dietro Lauda e Peterson, dopo essere stato per un poco al comando. Buone prestazioni anche nella serie di gare brasiliane di fine anno, con intermezzi dei soliti incidenti. Insomma un’attività abbastanza soddisfacente, ma non del tutto per la combriccola: il pilota è pieno di ambizioni, il direttore vorrebbe risultati eccezionali, il «patron» punta in alto.

L’inizio del 1973 è deprimente, perché non accade nulla di notevole. Così mentre tutti credono che l’avventura di Hesketh, curioso personaggio che appare volubile, sia destinata a finire, ecco che accade il contrario. Alexander Hesketh, terzo baronetto della sua casata, pronuncia la frase storica: «Adesso basta perdere tempo con la Formula 3 e la Formula 2. Non stiamo andando molto velocemente in nessun posto. Piantiamola e…andiamo in Formula l!» È un annuncio che stupisce ma entusiasma. Questo Lord Thomas Alexander Fermor Hesketh è davvero personaggio curioso. Alto, grasso, dal viso quasi imberbe, ha anche atteggiamenti e modi che sconcertano. Gli si attribuiscono stravaganze innumerevoli, e probabilmente sono vere. Anche la corte di cui ama circondarsi è fatta apposta per alimentare pettegolezzi e comunque stupore, perché i giovanottelli aggraziati che gli svolazzano intorno stonano col mondo delle corse. Però è uno che ha idee chiare, e lo si vede dal come porta avanti la sua avventura. Organizza una squadretta molto efficiente, poca gente ma buona, a capo del1a quale pone Horsley, ed assume un tecnico che reputa bravissimo, quell’Harwey Postlethwaite che era alla March e che ha idee sue che là non poteva esprimere. Ha una buona Squadra, crede di avere un buon pilota, ma non ha nessuno che lo finanzi. Non fa nulla, pagherà lui, e correrà «nel nome della Gran Bretagna». Su questa decisione si discute molto, perché parecchi stentano a credere che sia una cosa seria, proprio in un’epoca in cui nessuna Squadra può andare avanti senza sponsors, tanto elevati sono i costi. Comprano una Surtees per la “Race of Champions” di Brands Hatch, e Hunt si classifica al terzo posto. Un risultato notevole, per un esordiente. Così il progetto diventa definitivo, ma poiché la Surtees non può fornire in tempo una macchina valida, Hesketh si fa fare un telaio dalla March, a tempo di primato.

Gran Premio di Monaco 1973. Arriva il gran giorno dell’esordio della «Hesketh Racing» nelle gare del Campionato Mondiale di Formula 1. È avvenimento che suscita rumore. Lord Alexander ha una Squadra, una macchina, un pilota, ma anche molte altre cose. Arriva con una Rolls-Royce a strisce rosa, una Porsche Carrera, una delle prime motociclette Suzuki raffreddate ad acqua arrivate in Europa, un elicottero, un motoscafo veloce e naturalmente uno yacht! Pranzi, ricevimenti, brindisi e allegre compagnie caratterizzano la vita della Squadra nella fantasmagoria del Gran Premio più mondano della Stagione. Poca gente prende sul serio questo gruppo incredibile, che beve champagne anche sulla pista. Però chi è attento rileva come il pilota ed i meccanici non siano per niente frastornati e distratti. Hunt è di rado sullo yacht di Hesketh, il quale porta in giro la sua mole enorme, tutto vestito di bianco, con la scritta «le patron» sul petto. Hunt va piuttosto in giro per il circuito, a piedi, per vederselo metro per metro, o sta insieme coi meccanici nel garage dove si prepara la macchina. Anche lui deve adottare l'immagine del play-boy, ma ad uso dei tanti fotografi che vanno a nozze con questa novità stravagante, ma è solo una maschera. Hunt esordisce bene ma con cautela. Non vuole che la sua fama di «shunt man» lo segua anche in Formula 1. Si qualifica 18° su 26 partenti, ed in gara guida bene ma facendo molta attenzione. Verso la fine della corsa è sesto, ma deve fermarsi con il motore rotto; sarà comunque classificato al nono posto. La grande avventura è iniziata, ed abbastanza bene. Non si vede la March-Hesketh nella gara successiva, il Gran Premio di Svezia, perché «le patron» francofilo vuole impressionare nel Gran Premio di Francia. Vi si preparano tanto bene che Hunt termina al sesto posto, e conquista il suo primo punto valido per la Classifica Mondiale, alla seconda corsa. Un risultato eccezionale, che fa capire a molti come occorra prendere sul serio questa Squadra e questo pilota. Nonostante le apparenti incongruenze di un gruppo che stonava nel Mondo della Formula 1 tradizionale, e l’apparato di scena che era stupefacente. La gente non sapeva, in fondo, che tutti i mezzi sciorinati da Lord Hesketh non gli costavano molto, perché Rolls-Royce, yacht, aereo ed elicottero lui li noleggiava regolarmente.

Terza corsa e consacrazione: il Gran Premio di Gran Bretagna, sul circuito di Silverstone, che è a quattro miglia dal maniero degli Hesketh. La corsa ha un avvio molto movimentato, a causa di un certo Jody Scheckter che carambola in mezzo ad una curva, facendo uscire di strada quindici macchine, nove delle quali saranno inutilizzabili. Hunt non è coinvolto nella carambola, e prende la seconda partenza. Finisce al quarto posto, dietro Peter Revson, Ronnie Peterson e Dennis Hulme. Nella corsa seguente, in Olanda, sale sul podio per la prima volta, finendo terzo. La sua ascesa è costante, anche se la sua macchina non può essere considerata delle migliori. Però la March della Hesketh va più forte delle March ufficiali, grazie al lavoro di «doc», come chiamano Harwey Postlethwaite, e poi Hunt guida sempre come un forsennato. Non ha più nessun complesso verso i grandi della Formula 1: è ormai uno di loro. Si ritira in Austria, addirittura non può partire a Monza, perché in prova ha uno dei suoi incidenti. È molto attardato in Canada, ma nell’ultima corsa della Stagione, a Watkins Glen, sfiora il clamoroso, finendo secondo dietro Peterson, a pochissima distanza, un secondo appena. Con i 4 punti all’attivo è nono nella Classifica Finale del Campionato Mondiale. Un esordio eccellente, dunque, e molta spinta per il morale della Squadra, che è riempita di entusiasmo.

James Hunt e Lord Alexander Hesketh divennero presto grandi amici. Hesketh era il “protettore” di Hunt, in pratica gli faceva da Team Manager, dividendo fanciulle e alcool con il pilota donnaiolo. Come Cenerentola al gran ballo del principe, James si trovò improvvisamente a vivere tra elicotteri personali, aerei e yacht a sua completa disposizione, ville sontuose, castelli e tanto champagne.

A Enzo Ferrari, il Drake di Maranello, gli sarebbe piaciuto ingaggiare James Hunt. Si divertì molto a contatto con un Lord che pareva, a parole sue, “un figlio dei fiori”: ma Hesketh si intendeva anche di denaro, sparò una cifra troppo alta per lasciare libero James e così Ferrari si rese conto che i “sessantottini” giravano con camicie variopinte, fumavano marijuana, si circondavano di amici quanto meno imbarazzanti, certo. Eppure, sapevano curare bene i loro interessi…

Hunt era un uomo fatto per il divertimento e gli eccessi. Secondo molti, James è stato l’ultimo della “vecchia guardia”. In seguito, altri piloti si sono dati da fare, ma nessuno è più riuscito ad eguagliarlo. Grandi sponsor, marketing e linee di condotta imposte dai Team erano già in voga quando Hunt entrò in Formula 1, ma lui non se ne curava affatto. Riuscite ad immaginare un pilota che oggi mette sulla sua tuta la scritta “Sesso: colazione dei Campioni”? Il pilota inglese aveva riserve enormi di energia. «Una volta» ricorda il suo amico Tony Dron, «James iniziò la giornata distruggendo in tre pezzi la sua macchina di Formula 3. Ne uscì frastornato ma indenne. Poi salì sulla sua Mini Cooper e, mentre tornava a casa, fece un incidente frontale con una donna che guidava contromano in una strada a senso unico. Ferito anche se in modo lieve, venne trasportato in ospedale. Ma non ci restò a lungo. Alcuni suoi amici portarono una ragazza che non si risparmiò affatto pur di rimetterlo di buon umore durante il viaggio di ritorno…» Gli aneddoti e le curiosità sulla figura di James Hunt continuano ancora oggi ad alimentare il Mito.

L’anno seguente, il 1974, nasce la Hesketh come vettura. James Hunt ha trovato il perfetto accordo con il tecnico della Squadra, il quale vuole tradurre le sue idee in un mezzo nuovo, originale. Lord Hesketh dà il via al progetto, ed alla fine del 1973 il lavoro comincia. La macchina è pronta presto, ma per le due prime gare della Stagione preferiscono utilizzare ancora la March modificata, che ha subito ulteriori evoluzioni. La «Hesketh 308» appare in Sud Africa, ma non termina la corsa. Di ritiri, in questa stagione, Hunt ne collezionerà moltissimi, perché la messa a punto del mezzo è laboriosa. Quando riesce a concludere, però, è sempre tra i primi: terzo in Svezia, Austria e USA, quarto in Canada. Non è molto, ma le esperienze sono comunque utili. Anche la prima parte del 1975 è poco felice, nonostante un avvio buonissimo col secondo posto in Argentina ed il sesto in Brasile. Poi viene tutta una sfilza di ritiri, cinque di seguito. Hunt “The Shunt” è protagonista di un bel duello in pista con il pilota francese Patrick Depailler (Tyrrell-Ford) al Gran Premio di Monaco. Alla curva del Mirabeau, il pilota inglese tenta un disperato attacco all’esterno ma finisce contro le barriere che costeggiano il circuito cittadino di Montecarlo. Sceso dalla monoposto, un furioso Hunt aggredisce un commissario spintonandolo e urlandogli contro. Poco dopo, ancora in pista, affianca le monoposto che gli stavano sfrecciando a fianco apostrofando poco gentilmente Depailler, rimasto ancora in gara. Infine, il pilota inglese attraversa spericolatamente la pista sotto gli occhi increduli dei commissari di percorso. Vi è stato un fatto identico in Canada qualche anno dopo, quando ha perduto la corsa per aver tamponato il suo compagno di Squadra Jochen Mass che voleva farlo passare; e subito dopo si è ancora una volta messo in mezzo alla pista a mostrare i pugni chiusi in segno di rabbia, usando poi gli stessi pugni contro un commissario che lo invitava ad andarsene dal punto pericoloso.

Arriva così il grande giorno di Zandvoort, in Olanda. È l’anno della irresistibile superiorità della Ferrari, che permette a Niki Lauda di stravincere. Però in Olanda, regolarmente, è Hunt a vincere. È il suo primo successo in un Gran Premio, e per Alexander Hesketh è il coronamento degli sforzi compiuti. Hunt ed Hesketh hanno dimostrato che anche una Squadra senza finanziatori esterni: ma animata da entusiasmo, può giungere al successo. Il finale della Stagione è buono, perché vi sono ancora i secondi posti di Francia e in Austria, i quarti posti di Inghilterra ed America ed il quinto posto in Italia. Per la Squadra parrebbe che l’avvenire sia roseo, ma invece arriva la doccia fredda per tutti: Hesketh ha fatto i conti, ed ha scoperto che ha speso troppo. Poi c’è anche la crisi economica che viene da quella del petrolio, a far mancare liquidità. Così arriva l’annuncio della fine della storia della «Hesketh Racing»: la Squadra è sciolta.

Hunt sembra restare a piedi, senza macchina, proprio quando la sua maturazione lo aveva posto in alto. Ma quasi tutte le squadre maggiori erano sistemate. Al massimo avrebbe potuto avere una macchina media, in una delle piccole Squadre che nascevano e sparivano di tanto in tanto. Stavolta tuttavia non ebbe bisogno di cercare molto. L’occasione si produceva da sola, complice Emerson Fittipaldi, che di punto in bianco decideva di lasciare la McLaren, perché era maturato e si stava concretizzando il suo progetto di costruire una macchina brasiliana, con piloti brasiliani e capitali brasiliani. Nasceva la Copersucar, e per Fittipaldi era l'inizio di una nuova epoca, il soddisfacimento di un sogno a lungo covato. Il futuro non sarebbe poi stato tanto felice come sperava, per il brasiliano, ma lui questo non lo sapeva, allora. La McLaren, d’improvviso, si ritrovava senza il suo pilota migliore, e doveva sostituirlo. Hunt era rimasto libero. Era inevitabile che si arrivasse all’accordo, logico date le circostanze. Per entrambi – la Squadra ed il pilota – la concomitanza degli avvenimenti spiacevoli e imprevisti trovava soluzione felice.

La stagione 1976 cominciava così come una nuova vita, per Hunt, che doveva adattarsi alla Squadra, nella quale il clima era totalmente differente da quello della Hesketh. La McLaren è Squadra dall’organizzazione atipica, praticamente senza gerarchie interne. Ognuno fa quel che deve fare, ognuno ha diritto di parola, e la collaborazione di tutti è non soltanto accettata ma richiesta. Per Hunt, che si picca di essere uomo assolutamente spontaneo, non è stato difficile integrarsi nello spirito collettivo, ai fini del lavoro comune. Meno per l’integrazione psicologica, perché il suo carattere talvolta bizzarro non sempre era capito dagli alterchi. Il pilota inglese ebbe spesso contrasti con il Direttore della Squadra, l’avvocato austriaco Teddy Mayer. Talvolta i due arrivavano addirittura ad urlare litigando per questioni banali, come il cambio d’assetto della vettura.

Il 1976 è stata comunque una Stagione complessa, torturata da avvenimenti imprevedibili e tutti spiacevoli. I nuovi regolamenti tecnici delle macchine da Formula 1, entrati in vigore dal Gran Premio di Spagna, facevano la prima vittima proprio in Hunt, la cui McLaren veniva riscontrata più larga, di poco, del limite massimo ammesso. Hunt aveva vinto ma veniva squalificato, e il primo posto andava a Lauda, cosicché all’attivo di Hunt restava soltanto il secondo posto ottenuto in Sud Africa, perché nelle altre due gare disputate (Brasile e Long Beach dato che il Gran Premio d’Argentina era stato annullato) egli si era ritirato. Successivamente il Tribunale d’appello della FIA lo reintegrava quale vincitore, ed i nove punti erano quindi suoi. Quella della Spagna era la prima di una serie di vicende molto spiacevoli che dovevano caratterizzare questa stagione. In Belgio ed a Montecarlo Hunt si ritirava ancora e in Svezia finiva al quinto posto. Nel successivo Gran Premio di Francia, al Paul Ricard, le Ferrari favoritissime rompevano il motore entrambe, e per Hunt era apertissima la via della vittoria. Poiché la FIA gli aveva restituito i punti della Spagna, il suo gruzzolo diventava consistente. E subito dopo egli vinceva anche il Gran Premio di Gran Bretagna: anche questa una gara furiosa, dalla storia molto confusa, per via di un’incredibile disorganizzazione e per errori nelle decisioni della giuria, che aveva permesso ad Hunt di prendere la partenza nel secondo schieramento, dopo che la corsa era stata fermata per una collisione tra le Ferrari di Lauda e Regazzoni, nella quale Hunt era stato coinvolto ed aveva rotto la sua macchina. Hunt vinceva, portandosi a 35 punti contro i 58 che Lauda aveva nel frattempo accumulati, ma per Lauda c’era stata un’incredibile leggerezza degli organizzatori, a togliergli la possibilità di far punti, mentre per Hunt vi era pendente un reclamo da parte della Ferrari, che stavolta aveva ragione in appello. Anche tra Lauda e Hunt non correva buon sangue: per ragioni incomprensibili, i due arrivarono addirittura a litigare in albergo. Una volta, durante un breefing tra i piloti, un furioso Hunt abbandonò all'improvviso la riunione per un alterco con Lauda urlando «Al diavolo la sicurezza!»

Subito dopo vi era il Gran Premio di Germania, sul Nürburgring, con il gravissimo incidente a Niki Lauda, che veniva praticamente escluso dalla corsa al Titolo. Hunt vinceva ancora, poi era quarto in Austria, dove la Ferrari non si presentava, e poi rivinceva ancora in Olanda nonostante il tentativo di opposizione da parte della Ferrari di Regazzoni, che era secondo. Nel Gran Premio d’Italia c’era ancora una storia spiacevole, col controllo del carburante effettuato dai tecnici italiani, che scoprivano irregolarità su un paio di macchine, tra le quali quella di Hunt. E così egli doveva partire in ultima fila, ed in gara si ritirava. Era la corsa nella quale Lauda effettuava il clamoroso rientro dopo la tragica giornata del Nürburgring, ed i punti che l’austriaco guadagnava parevano metterlo al sicuro per il Titolo. Invece Hunt vinceva le due gare di Canada e Stati Uniti, ed alla vigilia del Gran Premio del Giappone era a soli tre punti da Lauda. Una rimonta eccezionale, dovuta alla macchina che finalmente era a punto, ed anche alle gomme che la Goodyear metteva a disposizione di tutti ma che erano inadatte alle Ferrari.

Il duello in Giappone sul tracciato del Fuji era attesissimo. Non ci fu, invece, per la decisione di Lauda di ritirarsi subito dopo la partenza. Hunt era anche lui contrario a correre, con la pista bagnatissima per la pioggia che cadeva in continuità, ma quando la decisione di dare la partenza è stata presa, egli si è allineato con gli altri, ed ha corso impegnandosi al massimo. Lauda ha preferito ritirarsi, non sentendosi sicuro. Il finale di gara era movimentatissimo, perché le fermate ai box per il cambio delle gomme avevano creato molta confusione. Proprio negli ultimi giri Hunt ha riconquistato il terzo posto, grazie alle fermate di Clay Regazzoni e Alan Jones per cambiare le gomme. E così diventava Campione del Mondo, per un solo punto di vantaggio. Scese dalla vettura e si diresse come una furia contro Mayer, convinto di aver perso per disordini ai box, ma il “viennese” (come lo chiamava Hunt) gli venne incontro raggiante del successo finale. Fu una scena davvero curiosa. Un’impresa favorita, certo, dalle amare vicende che hanno colpito Lauda, ma che premiava l’uomo migliore della seconda parte della Stagione. Un uomo che aveva saputo superare tante difficoltà, tra le quali quelle private di un divorzio che era giunto inatteso a tutti, come inattesa era stata la decisione di Hesketh di smettere di correre. A Parigi, per ricevere il riconoscimento del Titolo Iridato conquistato, si presentò in smoking e scarpe da ginnastica, anche se lui avrebbe preferito andare scalzo, come spesso faceva. Il suo atteggiamento quasi da rockstar contribuì al diffondersi della Formula 1. La sua onestà e sincerità lo faceva amare così tanto dalla gente.

La Stagione 1977 è stata molto meno felice. La macchina era un poco scaduta di valore ed ha dovuto essere sostituita con la più recente M26. Una lunga serie di rotture di motori ha colpito Hunt come altri che utilizzavano il Ford Cosworth; poi Andretti con la Lotus e Scheckter con la Wolf (macchina costruita da «doc» Postlethwaite) si sono aggiunti a Lauda e Reutemann nella divisione dei successi. Durante una gara di Formula Atlantic in Canada, alla quale Hunt assiste in qualità di spettatore, scopre il talento di Gilles Villeneuve, un giovane pilota sconosciuto all’ambiente dell’Automobilismo sportivo. Hunt ha avuto un finale di Stagione molto bello, con le vittorie in USA e Giappone, che si sono aggiunte a quella in Gran Bretagna, ma si è ritirato tredici volte sulle diciassette gare disputate. L’ultima corsa dell’anno è stata anche la sua ultima vittoria, al Fuji, ma non ha voluto salire sul podio a farsi applaudire, scappando a rincorrere un aereo che lo portava ad occuparsi di affari. Denaro, denaro: questo è quel che egli sembra adesso chiedere. E basta. Nella graduatoria finale del Campionato Mondiale è al quinto posto, molto più in basso di quel che sperasse. Continuava invece la sua Carriera di sex simbol, conteso dalle donne e dalle riviste patinate.

Di meccanica capisce poco e lo ammette. «Lauda parla di tecnica coi tecnici. Io sono l’opposto. A me la tecnica non interessa; l’unica cosa che voglio è sedermi dietro un volante e guidare al massimo delle mie possibilità. Certo che devo dedicare il mio tempo anche alle prove, alla messa a punto della macchina. Però quel che io voglio è correre, battermi, e vincere. È l’unica cosa che mi dia soddisfazione, e non soltanto nelle corse. Per vincere mi impegno a fondo anche quando gioco a golf, o a backgammon». Una specie di fanatismo, il suo; una voglia di eccellere che probabilmente nasconde qualche complesso, qualche senso d’inferiorità e che lo rende molto diverso da tutti. «La vita è breve e voglio trame il massimo godimento» dice. «Ho diviso il mio tempo tra le cose serie e quelle divertenti. Mi impegno a fondo seriamente nelle prime e mi diverto a fondo con le seconde».

L’anno seguente, il pilota inglese rimase presso il Team McLaren, ma in totale declino, conquistando solo otto nella Classifica Finale. Il miglior risultato è un terzo posto nel Gran Premio di Francia. Alla partenza del Gran Premio d’Italia 1978 a Monza, resta coinvolto nell’incidente alla prima chicane nel quale perde la vita il pilota svedese Ronnie Peterson, destinato a sostituirlo in McLaren. James Hunt si scatena come una furia contro il giovane Riccardo Patrese, che verrà ingiustamente estromesso per una gara dal comitato dei piloti.

La sua ultima Stagione in Formula 1, nel 1979, venne consumata con il Team Wolf, rimasto orfano del pilota sudafricano Jody Scheckter. Lo scarso rendimento delle auto che gli furono affidate nelle sue ultime due Stagioni lo demotivò: all’improvviso, come nel suo stile, a metà della Stagione 1979, dopo il Gran Premio di Monaco, decise di abbandonare la Carriera di pilota scomparendo dalla scena del Circus della Formula 1. Poco dopo James si ruppe una gamba in un tentativo di fare un salto sullo snowboard in spiaggia.

Dopo un tentativo mal riuscito di fare l’agricoltore, James Hunt ritornò nel mondo della Formula 1 e si diede alle telecronache dei Gran Premi per la BBC e per Eurosport, con commenti che innescarono spesso polemiche roventi fra i suoi colleghi, spesso giudicati con troppa disinvoltura dall’ex Campione iridato. La prima gara di Formula 1 “commentata in diretta” dall’irrequieto Hunt fu il Gran Premio di Monaco 1980, affiancato dall’esperto Commentatore BBC Murray Walker. La cabina di commento era un fazzoletto di terra dalla parte opposta della pit-lane. I due si sedettero su due sedie pieghevoli proprio dietro alle barriere, sul lato in cui le monoposto sfrecciavano a più di 280 chilometri orari. Tra di loro, un monitor TV e un pezzo di stoffa consunto in caso piovesse. Pochi minuti prima dell’inizio della corsa, in grande ritardo rispetto ai tempi da rispettare, James arrivò: spettinato, con la barba non fatta, a piedi nudi e mezzo infangato, con addosso una t-shirt e un paio di jeans tagliati, in mano una bottiglia di vino. Si sedette, mise davanti alla faccia di Walker la gamba ingessata, la gara iniziò e partì il commento.

Una volta, Murray fu sul punto di sferrargli un pugno durante una telecronaca. Nel suo mirino finirono più volte Jean-Pierre Jarier, Nigel Mansell, Ken Tyrrell e soprattutto Riccardo Patrese: del resto, con il pilota padovano c’era ancora ruggine per l’episodio monzese del 1978. Ma ai contrasti, alle prese di posizione, agli atteggiamenti strafottenti, Hunt era abituato. A Spa-Francorchamps 1989 l’imprevedibile James non arrivò in cabina di commento in occasione della gara. Di lui si perse ogni traccia. Quando, dopo la corsa, lo staff televisivo della BBC riuscì a trovarlo, James disse che era dispiaciuto, ma che era rimasto a letto perché non si sentiva bene. Era scontato pensare che non ci fosse stato solo e la cosa non stupì affatto nessuno.

La sua esistenza è sempre stata esagerata, a cominciare dal modo di vivere la Formula 1, per finire all’uso e all’abuso di fumo, alcool, passando da una vita privata perlomeno disordinata. Le sue passioni erano il Tennis e l’allevamento di uccelli rari che custodiva in gabbia. La moglie Susy Miller, bella modella, lo aveva lasciato per Richard Burton, all’epoca ex compagno dell’attrice Liz Taylor. Anche il suo secondo matrimonio con Sarah era finito, ma erano nati due bambini, Tom e Freddie (oggi pilota alle prime esperienze), per i quali era un padre affettuoso e molto premuroso. Inoltre, gravi disavventure finanziarie gli costarono il grosso della fortuna che aveva accumulato. Pochi anni prima della morte, la stampa tornò ad occuparsi di lui quando rimediò una multa per eccesso di lentezza, mentre girava in auto per Londra.

La sua morte, avvenuta improvvisamente a 45 anni nella sua villa a Wimbledon per arresto cardiaco, ha suscitato dubbi sull’effettiva causa del decesso. Al suo funerale c’erano tutti i grandi della Formula 1 e fu un’occasione davvero commuovente e sentita, di sicuro quello che James avrebbe voluto. Infatti, nel suo testamento lasciò dei soldi perché i suoi amici facessero una festa dopo il funerale. Come tutti noi, era un uomo complesso, ma anche altruista, buono e onesto. E siamo certamente sicuri che James Hunt ha lasciato un segno indelebile in questi Cinquant’anni di Storia della Formula 1.

LA CARRIERA IN FORMULA 1

Debutto: Gran Premio di Monaco 1973 (Montecarlo) su March-Ford 731

Ultima gara: Gran Premio di Monaco 1979 (Montecarlo) su Wolf-Ford WR8

Titoli iridati: 1 (1976)

 
GP disputati  92 Stagioni  7
Pole Position  14 Giri Più Veloci  8
Punti  179    

Piazzamenti a punti

 10   6   7   7   2   3       

CAMPIONATO DEL MONDO DI F.1

Anno

Team GP PP GPV Vittorie Posizione finale

Punti

 1973 

 March-Ford 731  7    2  

 8° 

 14 

 1974 

 March-Ford 731        

  

  

  

 Hesketh-Ford 308  15      

 8° 

 15 

 1975 

 Hesketh-Ford 308/308C  14    3  1

 4° 

 33 

 1976 

 McLaren-Ford M23  16  8  1  6

 1° 

 69 

 1977 

 McLaren-Ford M23/M26  17  6  1  3

 5° 

 40 

 1978 

 McLaren-Ford M26  16      

 13° 

 8 

 1979 

 Wolf-Ford WR7/WR8  7      

  

  

* Fuori dalla parentesi i punti ritenuti validi ai fini iridati

 

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