3.232.278 

dal 19/11/1999

START | Storia | Produzione | Clienti/Serie | Motori | Titolari | Società | Factory | Album | Albo d'Oro | Formula 1 | IndyCar | FE / XE | Altre categorie
Calendario | E-mail | Servizi | FanBox |

  

Biografiee-mailForum

Biografie

di Mattia Albera

Oggi morì Ayrton Senna

Gilles Villeneuve

Pilota Ufficiale

Nato a Saint Jean-sur-Richelieu (Canada) il 18 gennaio 1950

Morto a Lovanio (Belgio) l’8 maggio 1982

Fu il britannico James Hunt, Campione del Mondo di Formula 1 1976 con la McLaren-Ford, a scoprirlo, nel modo in cui gli altri piloti non farebbero mai. James avrebbe dovuto essere la Star del Trois-Rivières nel 1976, portando nuova linfa alla Formula Atlantic. Sembrava inconcepibile che il Campione del Mondo in carica potesse rischiare il tutto per tutto per correre con una March in Formula Atlantic in un circuito anonimo come Trois-Rivières. James amava la sfida che rappresentavano le corse quasi quanto amava la sua vita. E, senza la presenza di James, senza che lui aggiungesse sale all’evento, Gilles Villeneuve avrebbe potuto sparire come accadde a tanti suoi connazionali aspiranti piloti destinati a non sfondare. Il resto del Mondo non avrebbe mai conosciuto Gilles se non fosse stato per la presenza quel giorno di James Hunt. Villeneuve fece bella figura, favorito dalla conoscenza approfondita della pista, tanto da impressionare fortemente il pilota britannico della McLaren. James Hunt convisse allora Teddy Mayer, Direttore della Scuderia McLaren, a dare una possibilità a Gilles Villeneuve in Formula 1. “È un grande pilota con un grande talento”. Di sicuro James Hunt non si sbagliò.

Joseph Gilles Henri Villeneuve nasce il 18 gennaio 1950 alle sei del mattino nell’ospedale di Saint Jean Sur Richelieu vicino alla cittadina di Chambly dove i suoi genitori, Seville e Georgette, si erano sposati nel 1947 e dove vivevano dopo il matrimonio. Il fratello Jacques nasce tre anni dopo e la famiglia Villeneuve è così al completo. Sin dall’infanzia il piccolo Gilles è affascinato da qualunque oggetto di natura meccanica; i suoi giochi preferiti sono ruspe e camion, che però devono avere un aspetto realistico, altrimenti non ci giocava. È un bambino calmo e solitario con un carattere particolarmente coraggioso, pretese di imparare ad andare in bicicletta senza le rotelline, comunque dopo un bel po’ di capitomboli imparò la tecnica. Comincia a frequentare le scuole elementari nel 1955 e le affronta molto seriamente, sentiva di dover essere il migliore ed anche se non era un bambino precoce, era molto sveglio ed era stimolato dagli amici più grandi di lui, si dava da fare per essere alla pari con loro. Questo spirito di competizione sviluppa da subito nel suo carattere un aspetto di costanza e perseveranza, Gilles infatti, si sforza continuamente di migliorare sé stesso in qualsiasi cosa si cimentasse, come se fosse alla ricerca di qualche campo in cui eccellere. All’età di otto anni, la sua famiglia si trasferì a Berthierville a circa 70 chilometri da Montréal in una vecchia fattoria alla periferia della città.

Aria buona e possibilità di movimento non gli mancano di certo e così Gilles cominciò a preferire sempre di più l’attività fisica alla monotonia della scuola. D’estate corre sulla sua bicicletta pedalando fino allo stremo delle forze e d’inverno adora pattinare e giocare ad hockey. Gli piacciono le bufere di neve ma la cosa più eccitante e stimolante per lui, è andare proprio dove gli dicono che non si poteva andare. Nel 1959 suo padre Seville acquista un nuovo furgone Volkswagen. Fu questo il primo veicolo che Gilles guida da solo e rimase il più vivo dei suoi ricordi d’infanzia: “Stavamo viaggiando su una di quelle lunghe, diritte strade di campagna vicino a Berthierville. Era un luminoso e caldo giorno d’estate; intorno non c’era nessuno, così mio padre mi permise di guidare il furgone. Che emozione”. Da quel giorno tormenta il genitore fino a che non gli permette di fare dei giretti con l’auto di famiglia sul viale di accesso della casa. All’età di undici anni, Seville lo lascia libero di guidare un furgoncino mezzo sfasciato nei campi intorno alla loro fattoria. Il piacere delle quattro ruote lo aveva ormai contagiato ed era riuscito addirittura a costruirsi uno strano mezzo con i pezzi della falciatrice; a quindici anni riceve in regalo una decrepita MGA e, con l’aiuto di un paio di amici, Gilles ripara l’auto per poter fare dei giretti in una strada abbandonata poco distante.

Ma tutto ciò a Gilles non bastava, era troppo impaziente e viene preso da una smania smisurata di guidare la nuova auto di famiglia. Il padre gli aveva dato il permesso di condurla solamente intorno a casa poiché la sua età non gli permetteva ancora di poter avere la patente, ma la tentazione di guidarla divenne troppo forte e Gilles riesce di nascosto a farsi una copia delle chiavi. E così una sera spinge silenziosamente la Pontiac fuori dal garage e avvia l’autovettura dirigendosi verso un paese vicino. Nonostante piovesse a dirotto, Gilles porta la macchina a 170 chilometri all’ora ma improvvisamente, in una curva piuttosto brusca, perde il controllo sull’asfalto scivoloso e va a sbattere contro un palo delle linee telefoniche. La macchina si accartoccia letteralmente su sé stessa ma fortunatamente non ci furono conseguenze fisiche per Gilles il quale tornò a casa a piedi sotto la pioggia camminando per più di otto chilometri. In quell’occasione i suoi genitori furono molto tolleranti e non lo punirono severamente ma per qualche tempo le avventure motoristiche dell’irruente giovanotto furono temporaneamente smorzate.

Arrivò così il suo sedicesimo compleanno e finalmente la patente di guida, siamo nel 1966 e da quel momento è un susseguirsi di macchine ma, oltre al crescere della passione per le automobili, Gilles comincia a nutrire interesse nei confronti dell’altro sesso. C’è una ragazza che abitava a Joliette che gli piaceva ed una sera andò a trovarla; durante il tragitto si trova davanti un’altra vettura e cerca di superarla, il conducente che lo precedeva premette a fondo l’acceleratore in segno di sfida e l’inseguimento ebbe inizio. All’improvviso una mandria di mucche che stava attraversando la strada costrinse le due auto ad una frenata disperata e Gilles terminò la sua corsa nel fossato distruggendo la macchina e finendo all’ospedale con ottanta punti di sutura alla testa.

Nonostante l’accaduto Villeneuve continua a non essere affatto turbato dai pericoli che comportava la guida alle alte velocità e acquista una piccola automobile cecoslovacca, una Skoda. Con questa vetturetta si diverte a scorazzare per le vie cittadine molto più velocemente di quanto le norme stradali del Québec consentissero e la polizia locale comincia ad interessarsi del caso. Le multe per eccesso di velocità cominciano a fioccare però, senza contestarle, Gilles le paga immediatamente, non c’è nulla da fare, la voglia di correre è più forte di lui. Con la sua Skoda prende parte a qualche slalom organizzato nelle aree di parcheggio dei supermercati; il suo stile di guida e la sua spettacolare tecnica nell’affrontare i coni bianco-rossi gli portarono anche una certa notorietà nei dintorni di St. Thomas, un paesino da dove passava frequentemente per andare a trovare la sua futura ragazza, Joann Barthe. Anche lei è franco-canadese ma ha vissuto per qualche tempo in Connecticut prima di tornare nel Quebéc. La sua famiglia è povera ed era assistita dalle autorità governative per potersi mantenere, ma Joann è una ragazza ottimista e fiduciosa in sé ed incontra il suo futuro marito ad un appuntamento alla cieca. Sua sorella la convince ad incontrare un amico del suo ragazzo e dopo molte insistenze, Joann accetta di combinare un’uscita a quattro presso una discoteca locale. Anche Gilles era abbastanza riluttante nell’accettare quel tipo di appuntamento ma alla fine entrambe parteciparono. Joann non perde subito la testa per Gilles: era abbastanza bello, piccolo di statura, molto educato e timido ma era rimasta entusiasta per la sua totale onestà e sincerità. La loro prima serata trascorre tranquillamente ed in seguito continuano a vedersi saltuariamente nei fine settimana. Nascono degli screzi quando Joann scopre che Gilles ha un’altra ragazza ma non sa che l’aveva appena lasciata e basta una telefonata per riappacificarsi e diventare una coppia fissa nell’agosto del 1967.

Joann impara presto che la vita con il suo nuovo compagno sarebbe ruotata intorno ai motori. Appena compiuto i diciassette anni Gilles conclude la sua educazione scolastica ma comincia a studiare sulle riviste che si occupavano di auto e di corse, rendendosi conto che esistono delle persone che facevano addirittura Carriera con ciò che lui faceva tutti i giorni sulle strade del suo paese. Inizia così a frequentare l’ambiente assistendo alle gare di accelerazione ed iscrivendo anche la sua Ford Mustang che aveva personalmente modificato per partecipare a quel tipo di competizioni. Ma ben presto il suo interesse per queste manifestazioni si spegne poiché le ritiene monotone e le emozioni erano troppo rapide, senza tratti in curva per mettere alla prova il suo coraggio. Prova a cimentarsi sui circuiti ovali in terra battuta ma nemmeno quello bastano a soddisfarlo; vuole sentirsi più coinvolto per esprimersi appieno affrontando circuiti che presentassero sia tratti rettilinei che curve di vario tipo con l’opportunità di esplorare i limiti dell’aderenza di una macchina.

Gilles è letteralmente incantato dai resoconti delle gare europee che leggeva sulle riviste di Automobilismo, piloti come Jim Clark e Chris Amon che si sfidano sulle loro Lotus e Ferrari di Formula 1, mantenendo velocità medie superiori ai 170 chilometri orari lungo il circuito del Nürburgring in Germania oppure la spettacolare Targa Florio con le Porsche e le Ferrari sport. Purtroppo Gilles si limita a guardare gli altri correre in pista perché le sue finanze non gli permettono altrimenti e per poter continuare a frequentare Joann deve per qualche tempo lavorare con i genitori nella piccola azienda di abbigliamento, poi trova lavoro dagli zii guidando camion stracarichi di ghiaia su terreni sconnessi, in fondo per lui anche quello era un gran divertimento.

I luoghi dove vive vengono coperti ogni anno da più di un metro e mezzo di neve e così, come molti canadesi in quel periodo, Gilles accoglie con entusiasmo la nuova moda della motoslitta che permettono di esplorare luoghi fino a poco prima inaccessibili ed è anche un pratico mezzo di trasporto nella stagione invernale. Per Villeneuve diventa invece un altro tipo di veicolo a motore con cui correre. I costruttori di motoslitte cominciano infatti ad organizzare alcune gare per promuovere i loro prodotti e molti dilettanti vengono invitati a competere insieme ai rappresentanti delle Squadre ufficiali. Il padre di Gilles gli compra una motoslitta e con quella partecipò a molte gare vicino a Berthierville e fu subito un vincitore. Il suo innato ed incosciente coraggio e la sua abilità gli permettono di battere concorrenti che guidano veicoli di prestazioni superiori al suo, è come guidare in una terribile bufera ma la sua bravura gli permette di accelerare al massimo senza praticamente mai usare il freno. Impara molto bene a bilanciare il mezzo e sviluppa una grande sensibilità di guida, non è facile gestire un simile bolide a 140 chilometri all’ora in un freddo terrificante ma ciò lo aiuta a diventare tenace e coraggioso. Gilles inizia a correre con le motoslitte insieme a Jacques, insieme al quale, su quella peculiare tipologia di mezzo, si era allenato sin da bambino, per divertimento. Dopo solo alcune gare il suo nome comincia a diventare famoso negli ambienti delle competizioni. A diciotto anni riceve in regalo da un amico di famiglia, una motoslitta Skiroule elaborata per correre e con quella vince parecchie gare tanto che nell’inverno seguente, a cavallo tra il 1969 ed il 1970, Gilles viene assunto direttamente dalla ditta Skiroule nel suo Team del Québec come pilota-meccanico.

Intanto la relazione fra Gilles e Joann è arrivata ad un punto critico: Joann è rimasta incinta e i due decidono di fidanzarsi e, il 17 ottobre del 1970, viene celebrato il matrimonio al quale partecipano i loro familiari e pochi amici. Il corteo nuziale sfila con gran fracasso per le strade di Joliette, il paese della sposa, e dopo il ricevimento in un locale, i novelli signori Villeneuve trascorrono la loro prima notte in luna di miele nella stanza di un vicino motel. Nel frattempo Gilles ha rotto i rapporti con la Skiroule perché il suo desiderio di partecipare alle più conosciute e ricche gare americane, gli è stato negato per via di gelosie interne al reparto corse e così si ritrova tutto ad un tratto disoccupato e neo-sposo in attesa di un figlio. E qui viene fuori il suo carattere. Rifiutando l’idea di essere sconfitto in un campo che non era un circuito di gara, Gilles non si dà per vinto; l’occasione per rifarsi gli viene data da un’altra marca di motoslitte, la Motoski, che gli fornisce tre macchine ed una certa assistenza tecnica oltre che naturalmente, il denaro necessario per gareggiare ma soprattutto per mantenere la nuova famiglia. In quell’anno, siamo nel 1971, Gilles guadagnò abbastanza diventando campione del Québec e vincendo il Titolo di Campione del Mondo per la categoria 440 cc. nello stato di New York.

Poco tempo dopo queste sue vittorie, il 9 aprile 1971, i Villeneuve diventano gli orgogliosi genitori di un bimbo, Jacques. Così, per avere la possibilità di rimanere vicino alla famiglia, Gilles acquista un motorhome, che gli avrebbe permesso gli spostamenti sui campi di gara, e lo rimorchia fino ad un terreno presso la casa dei suoi genitori; fa gli allacciamenti per l’acqua, l’elettricità ed il telefono e poi lascia a Joann il compito di occuparsi di tutto il resto poiché, se per le sue macchine è ordinato e meticolosamente organizzato, per il resto della vita privata è completamente l’opposto.

La sua distrazione del momento è costituita da uno scuolabus giallo: lo divise in due settori, la parte anteriore deve servire per dormirci e quella posteriore come officina per le motoslitte. Nell’inverno 1971-72 queste motoslitte erano della Alouette con cui Gilles conquista nuovamente il Titolo di Campione del Quebéc vincendo dieci gare su quattordici. Ad impedirgli di portare a termine le quattro gare che non vince sono problemi meccanici e Gilles ci lavora a lungo mettendo a punto delle modifiche al sistema di trasmissione che è stata la causa dei suoi ritiri. Villeneuve gode ormai di una grande notorietà nell’ambiente sportivo grazie anche alla sua predisposizione per la spettacolarità; la sua presenza è sempre molto richiesta dagli organizzatori e così, la Stagione successiva, Gilles allarga i suoi orizzonti. Macina molti chilometri a bordo del suo pulmino per raggiungere i luoghi in cui si tengono le gare fuori dal Quebéc e si laurea alla fine dell'inverno Campione canadese di motoslitte.

Il sacrificio di rimanere lontano dalla famiglia per periodi più prolungati è parzialmente compensato dai maggiori guadagni ma ce ne era veramente bisogno perché era in arrivo una bimba che Joann mette al mondo il 26 luglio 1973 ed alla quale fu dato il nome di Melanie. Ma l’accresciuta responsabilità di padre non serve a far diminuire l’entusiasmo di Gilles per le corse che per lui sono diventate l’unico mezzo di sostentamento, come un lavoro. Più gare, più denaro ma come fare nel periodo in cui la neve si scioglie e le gare di motoslitte vengono sospese? Fu così che Gilles si dimostrò attento quando gli venne suggerito che il suo talento poteva tranquillamente essere trasferito sulle automobili. Un tecnico francese che lo conosceva gli spiegò come ottenere la licenza e gli raccomandò la scuola di guida di Jim Russell a Mont Tremblant come punto di partenza.

Era una mattina piovosa quando Gilles si presentò con altri allievi presso il cancello d’entrata del piccolo circuito della scuola. Nel corso delle lezioni teoriche gli aspiranti piloti ascoltarono con attenzione tutte le indicazioni per un corretto utilizzo di una vettura da corsa e per il giusto modo di affrontare la pista. Aspettò con pazienza ed educazione che la lezione terminasse e poi giunse finalmente il momento di provare le macchine di Formula Ford della scuola; tutti gli allievi salirono a bordo e si allacciarono le cinture di sicurezza per effettuare un primo giro di prova sull’asfalto bagnato. Immediatamente una delle macchine balzò in testa e si lasciò dietro tutte le altre in una nuvola d’acqua. Gilles era perfettamente a suo agio e sorprese favorevolmente l’istruttore che non si aspettava proprio una simile prestazione dal suo allievo più timido. La settimana successiva fu nuovamente il più veloce di tutti cavandosela in maniera splendida ed ottenendo subito la licenza di pilota.

Gilles lascia Mont Tremblant con la sensazione di poter fare di più, è rimasto estasiato dalla sensibilità e maneggevolezza della piccola vettura di Formula Ford, è una vera e propria rivelazione per il suo futuro. Aiutato ancora una volta da un suo amico, Gilles acquista un auto vecchia di due anni e con quella macchina partecipa al Campionato di Formula Ford del Quebéc. Nella prima gara fatica per arrivare terzo ma la seconda gara lo vede già vincitore. Le monoposto di quella categoria sono molto affidabili e perciò Gilles può concentrarsi completamente sul come guidare la sua vettura nel modo più veloce. Lo stile di guida sull’asfalto è simile a quello che aveva mostrato sulla neve: non fluido e controllato, ma piuttosto funambolico, spettacolare. Esce di strada molte volte però vince il 70 per cento delle gare a cui prende parte e si aggiudica il Titolo di esordiente dell'anno vincendo sette gare su dieci. Naturalmente anche il Titolo di Campione di Formula Ford del Québec per l’anno 1973 è suo. Tutto questo alla guida di un’auto che è più vecchia delle altre che partecipano a queste competizioni e gareggiando insieme a piloti che hanno quasi tutti più esperienza di lui.

Gilles ormai è completamente in preda alla febbre delle corse. Trascorre sempre più tempo lontano da casa, a volte anche tre o quattro settimane per poter partecipare anche alle gare invernali di motoslitta. Tutto ciò sta cominciando a creare dei seri problemi alla famiglia perché Joann è in seria difficoltà nel badare ai figli e soprattutto nel gestire l’economia domestica, in una situazione disastrosa per via dei debiti che continuano ad accumularsi. Di positivo c’è soltanto che Gilles continua a vincere anche nella Stagione 1973/74 con un mezzo che lui stesso aveva progettato modificandone le sospensioni. Nacque così la prima motoslitta Aloutte con il sistema ammortizzante “Villeneuve”. Nel frattempo è riuscito ad ottenere, dagli organizzatori delle gare, del denaro in cambio delle sue partecipazioni e ciò gli permette di completare l’intero Campionato del Mondo. Contemporaneamente si iscrive anche ad alcune gare americane di fronte ai più grandi piloti internazionali e nemmeno lì manca di apporre il suo sigillo di vittoria. Però, nonostante le molteplici affermazioni, i guadagni di una Stagione non bastano più a pagare i debiti arretrati ed ancora una volta la famiglia Villeneuve si ritrova al verde. Ma i problemi economici non avrebbero comunque dovuto interferire con i propositi di Gilles, il quale aspirava a progredire nelle varie Categorie automobilistiche che alla fine portavano alle gare internazionali del mondiale. Dopo i successi in Formula Ford, Gilles comincia a guardare più lontano e dentro di sé pensò: “Ragazzo, se non farai le stesse cose al di fuori del Canada, il mondo perderà l’occasione di conoscere un pilota davvero grande”.

Nel frattempo ci sono altre gare di Formula Atlantic da vincere e la sua serie fortunata continua a Gimli, dove sale di nuovo sul gradino più alto del podio. La Ecurie Canada si dirige verso Mosport con un cauto ottimismo sulle reali possibilità di conquistare entrambe i Campionati nordamericani. Ci sono ancora tre corse in Canada ed una negli Stati Uniti, ma la situazione economica del Team è disastrosa dopo che alcuni assegni, emessi dalla Skiroule per pagare i fornitori, erano risultati scoperti. Non c’è abbastanza denaro per partecipare alla gara di Mosport e gli organizzatori si rifiutano di aumentare l’ingaggio di Gilles costringendolo così a non partecipare. Villeneuve è furioso, tutti i suoi sforzi al volante vanificati da problemi economici; è disperato per la continua carenza di fondi che avrebbe potuto compromettere l’intera Stagione. Ma i soldi arrivano da John Lane, un americano che è entrato a far parte della Squadra attratto dalle corse automobilistiche e desideroso d’investire i suoi guadagni ottenuti grazie alla compra-vendita di titoli. John è rimasto molto impressionato dal carattere di Gilles, i due sono quasi coetanei e diventano subito molto amici nonostante le differenze culturali. Con il fiuto da vero uomo d’affari, Lane offre allora 25 mila dollari per acquistare le due vetture del Team a fine Stagione; egli ha intuito che se Gilles avesse vinto entrambe i Campionati, le due March sarebbero diventate merce ambita e così diede fondo a tutti i suoi risparmi per permettere a Villeneuve di tornare a correre. Il contributo di John Lane alle casse della scuderia è sufficiente per partecipare alla gara successiva di St. Jovite. Quando arrivano sul circuito di prima mattina, erano gli unici a provare sul tracciato; Gilles sta girando molto forte, ma improvvisamente, dai box, Ray Wardell e gli addetti si rendono conto che il pilota non arriva. Non ci sono commissari e Ray sale sull’unica ambulanza a disposizione per andare a cercarlo. Lo trovano che arranca su per la salita proprio dopo il rettilineo del traguardo; sembra in buone condizioni anche se la sua macchina è ridotta a pezzi. Non è in grado di spiegare cosa fosse successo, ma tutto quello che voleva fare era salire a bordo della vettura di riserva e tornare in pista. Ed è esattamente ciò che fa, l’incidente non aveva per niente smorzato la sua grinta. Dopo quella terribile botta, continua come se nulla fosse successo. Nelle qualificazioni fa registrare subito il miglior tempo, poi Klausler e Rahal scendono in pista e lo battono. Villeneuve sembra diventare matto: sale nuovamente sulla sua monoposto ed ottiene il nuovo miglior tempo. Continua così per tutta la durata delle prove; alla fine qualcuno fa ancora una volta meglio di lui, ma pure questa volta Gilles si riconquista la pole position. In corsa, Villeneuve si tiene sempre davanti a tutti, fa segnare il giro più veloce e conclude comodamente al primo posto. Durante le interviste, Gil, euforico, spiega la sua filosofia: “Già prima dell’inizio della Stagione ero sicuro di una cosa: non mi sarei accontentato di far mio il Vampionato a forza di secondi e terzi posti. Ho sempre creduto che il miglior modo per conquistare un Titolo sia quello di cercare di vincere in tutte le gare”. Ma, mentre i festeggiamenti per il successo stavano raggiungendo il culmine, la Skiroule dichiara fallimento e Harrison è costretto ad interrompere qualsiasi attività nelle corse. La Ecurie Canada invece di dirigersi ad est, per la gara successiva di Halifax, si dirige in direzione opposta, verso il suo quartier generale. Affinché la Carriera di Gilles Villeneuve potesse continuare bisogna urgentemente trovare altro denaro e con la gara di Halifax, ad un solo mese di distanza, sarebbe stata una corsa contro il tempo.

Dieci giorni prima dell’appuntamento all'Atlantic Motor Sport Park di Halifax, Gil non aveva un barlume di speranza; c’era bisogno di almeno 5 mila dollari per poter gareggiare, ma non si arrende. Espone la situazione ad un amico che lavora per un affermato imprenditore di Montréal il quale si occupa di pubblicità e promozione in genere. Il suo nome è Gaston Parent, allora un cinquantatreenne con l’intenzione di andare in pensione e l’idea di impegnarsi con un giovane pilota non lo sfiora neppure, ma quando ascolta la storia di Villeneuve, di quanto fosse speciale e di quanto talento avesse, per educazione, decide d’incontrarlo. Gilles, accompagnato dall’amico, si siede di fronte a quell’uomo che si accarezza la barba mentre ascolta i dettagli della Stagione e delle condizioni finanziarie. Gil è convinto di poter vincere facilmente il Campionato canadese, ma non soltanto, disse anche di poter vincere il Titolo nordamericano e la corsa di Trois-Rivières. Nulla può fermarlo…tranne 5 mila dollari. Parent, che sa ben valutare il carattere di un uomo, rimane colpito dall’assoluta onestà di quel ragazzo dall’aria tanto timida quanto determinata, vede un giovane pieno di speranza e di fiducia nelle sue possibilità. Comincia così ad essere attratto dalla situazione ed agisce seguendo il proprio impulso. Quarantacinque minuti più tardi, dopo qualche telefonata, i soldi necessari erano stati trasferiti sul conto del Team. Gilles salta letteralmente sulla sedia e urla dicendo: “Wow! Guardi, lei ora è lo sponsor, come vuole che sia dipinta l'auto?” Gaston Parent non ha niente da pubblicizzare e dice di far verniciare la monoposto di bianco e di dipingervi il giglio simbolo del Québec.

La settimana successiva Parent legge i giornali del mattino e vede la foto con la vettura bianca ed il giglio che taglia trionfalmente il traguardo di Halifax, Gilles si è guadagnato la pole position, il giro più veloce ed ha preceduto il secondo classificato di ben sedici secondi. Inoltre, dice ancora l’articolo, che quella vittoria significa per Villeneuve il Titolo di Campione canadese. Parent si sente abbastanza orgoglioso di come sono andate le cose ed è felice di ricevere un’altra visita di Gil. Egli è infatti tornato per estinguere il suo debito con i soldi vinti nell’ultima gara, ma il saggio imprenditore, conoscendo i problemi finanziari della famiglia Villeneuve gli consiglia di utilizzarli per saldare qualche altro conto in sospeso. Gilles, ringraziandolo, gli spiega che ha bisogno di ulteriori finanziamenti per poter terminare la Stagione e Gaston Parent conferma che gli avrebbe messo a disposizione il denaro necessario a patto che gli fosse garantito il diritto di recuperarlo. “Perfetto non vedo alcun problema” è la risposta di Gil. Inizia così un rapporto d’affari che diventa in seguito un rapporto affettuoso, quasi tra padre e figlio. A metà settembre i giornali del lunedì informano nuovamente Parent che Gilles Villeneuve ha stravinto sul circuito di Road Atlanta in Georgia: ha conquistato la pole position ed il giro più veloce in gara, laureandosi così Campione di Formula Atlantic del 1976. Tutto questo sarebbe passato però in secondo piano a paragone della successiva corsa fuori campionato di Trois-Rivières: qui le sue gesta gli avrebbero meritato i titoli di cronaca di tutta la stampa automobilistica mondiale.

Il “Grand Prix” Molson di Trois-Rivières è infatti il più importante appuntamento automobilistico di tutto il Québec e la presenza degli assi di Formula 1 conferiva alla gara una portata internazionale. Quell’anno la schiera dei grandi nomi è guidata da James Hunt, tra lui e la conquista del Mondiale di Formula 1 c’erano solo quattro gare. Al pilota McLaren viene affidata una March identica a quella che si è aggiudicata quasi tutte le corse americane di Formula Atlantic ed il suo compagno di scuderia sarebbe stato proprio Gilles Villeneuve. Un altro grosso nome che avrebbe partecipato alla gara era l’australiano Alan Jones, oltre a lui avevano garantito la loro presenza anche Vittorio Brambilla, poi Patrick Tambay e l’astro nascente Patrick Depailler. Questi erano gli ospiti contro i quali si sarebbero cimentati i migliori piloti di Formula Atlantic. Villeneuve sottolinea così l’importanza di quella gara: “Baratterei volentieri tutte le mie vittorie con un successo a Trois-Rivières. Secondo me è la gara più importante della Stagione perchè attira l’attenzione di molte scuderie europee e di un sacco di giornalisti stranieri. È molto importante per me vincere”. Ray Wardell prepara nei box della Ecurie Canada tre March: una per Hunt, una per Depailler e l’altra per Gilles. I cronometri sono pronti per le prove di qualificazione, prove fondamentali su quello stretto circuito cittadino che avrebbe offerto poche opportunità di sorpasso ai piloti durante la gara. Gil parte subito di gran carriera, suscitando immediatamente l’entusiasmo del pubblico, ma allo stesso tempo la preoccupazione del Team per quel suo atteggiamento un po’ da spaccone. Durante i primi giri di qualifica la sua March è spesso in testacoda, ma Villeneuve è capace di caricarsi e di dare il massimo di sé immediatamente, senza bisogno di tanto riscaldamento. Dopo qualche giro arriva un exploit straordinario. Nessuno è in grado di competere con lo scatenato canadese, con la sua bravura, la sua dimestichezza con la vettura e la sua familiarità con quel circuito. Gilles conquista la pole position, nonostante lo tormentassero alcuni problemi di sovrasterzo, sfruttando ogni metro di asfalto, a volte facendo strisciare l’alettone posteriore contro i muri, con molto, molto coraggio. La gara è un monologo, Villeneuve è in testa da subito, guidando come solo lui sa fare, di traverso ad ogni curva si diverte molto nel catturare l’attenzione del pubblico e dei fotografi in maniera spettacolare. Quando la bandiera a scacchi decreta la sua vittoria, Gilles può godersi l’affetto del pubblico per quell’epica giornata: molti spettatori che lo avevano incoraggiato con fervore addirittura piangevano per la contentezza, commossi dal successo di un pilota che era uno di loro, un loro connazionale. Anche gli organizzatori erano estremamente soddisfatti dal fatto che il vincitore fosse un canadese. Villeneuve aveva mostrato al mondo quanto valesse ed i piloti di Formula 1 ne furono giustamente colpiti, soprattutto James Hunt che al suo ritorno in Inghilterra parlò molto bene di Gil. La stampa specializzata europea diede molta enfasi all’episodio di Trois-Rivières, manifestando un certo stupore nei confronti di uno “sconosciuto” che si era permesso di castigare così duramente piloti più blasonati ed esperti di lui.

In molti cominciano a mostrare interesse per il fenomeno franco-canadese: i responsabili di Brabham, Wolf e McLaren in quel periodo si stanno guardando intorno per la Stagione successiva e Gilles viene preso in grossa considerazione dopo le parole di elogio da parte di Hunt, che dice al responsabile Marlboro, sponsor principale del Team McLaren: “Io sono stato appena sconfitto da questo Villeneuve. È davvero straordinario, faresti bene ad ingaggiarlo”. Viene organizzato incontro formale tra Gil e Teddy Mayer, patron della McLaren, durante il weekend del Gran Premio degli Stati Uniti a Watkins Glen; il canadese fornisce un’ottima impressione per via del carattere schietto e deciso, anche se è terribilmente in imbarazzo. Non parla molto, ma ascolta attentamente tutti i discorsi. Viene convocato successivamente in Inghilterra dove gli viene offerto un contratto con la Marlboro McLaren per il 1977. L’accordo prevede che Villeneuve corresse cinque gare debuttando a Silverstone e correndo anche in Canada e negli Stati Uniti. Inoltre avrebbe gareggiato in qualche corsa di Formula 2 ed era prevista un’opzione per il 1978, il tutto per 25 mila dollari. Gilles, agitatissimo, firma subito, non appena si sente in condizione di poter tenere in mano una penna.

Il nuovo rapporto di collaborazione viene ufficializzato nel dicembre del 1976 ed in quella occasione spiega i motivi che lo avevano portato a firmare un contratto da pilota part-time: “Credo sia meglio correre solo una parte della stagione con una buona scuderia piuttosto che una stagione intera con una Scuderia mediocre. Desidero gareggiare in Formula 1, ma ci voglio arrivare nel modo giusto. Se finisci in una Squadra di secondo piano, non riesci a combinare nulla e nessuno ti prende più in considerazione. Non ho intenzione di ‘bruciarmi’ subito. Voglio restare in Formula 1, non soltanto per poter dire un giorno ai miei figli che una volta sono salito su una di quelle macchine”. Gilles chiede a Gaston Parent di fargli da manager e i due si accordano con una semplice lettera di tre paragrafi controfirmati da entrambi. In realtà quel documento è inteso come una misura temporanea in attesa della stesura di un contratto più elaborato, ma Parent decide ben presto che ulteriori aggiornamenti sarebbero stati inutili: “Con Villeneuve non c’era bisogno di contratti. Contrariamente alla maggior parte delle persone, aveva una parola sola. I suoi sentimenti autentici erano sempre evidenti. È stata una delle persone più oneste che abbia incontrato in tutta la mia vita” disse qualche anno più tardi.

La prima esperienza del 1977 porta Villeneuve lontano da casa, in Sudafrica, per quattro gare di Formula Atlantic dove riesce a terminare solo due corse in terza e quinta posizione, ritirandosi nelle altre due occasioni. Torna in Canada abbronzato e ferito nell’orgoglio per i mediocri risultati ottenuti, ma decide di affrontare un’altra Stagione di Formula Atlantic canadese per integrare le future apparizioni in Formula 1. La Direct Film lo avrebbe sponsorizzato in quello che si sarebbe rivelato il Campionato più difficile poiché Gilles si trovò di colpo senza il suo direttore tecnico di fiducia, Ray Wardell, passato ad altre attività, e con il Team che aveva deciso di schierare due vetture; inoltre l’elenco dei partecipanti era di notevole valore. Fra gli altri vi era un pilota finlandese, un certo Keke Rosberg, che aveva avuto esperienze positive in molte categorie minori dell’Europa settentrionale. La prima gara si disputa sul circuito di Mosport; Gilles conquista di forza la pole position proprio davanti a Rosberg. Alla partenza il finlandese scatta al comando, ma Gil riesce a rimanergli in scia fino alla prima curva, sulla pista volavano scintille quando le ruote delle due monoposto si toccavano. Al quarto giro, Villeneuve e Rosberg si lanciano fianco a fianco sulla salita di una delle colline del circuito. Le gomme si toccano di nuovo e le vetture si sollevano contemporaneamente, sbandando fin quasi a rovesciarsi, poi Gilles riesce a rientrare in pista e comincia l’inseguimento di coloro che nel frattempo lo avevano superato. Verso la fine, guidando come un pazzo, Gil stabilisce il giro più veloce terminando al secondo posto dietro al vincitore Price Cobb. La lotta con Rosberg è leale, entrambe si mostrano veloci e coraggiosi, ma Joann, che era sempre presente ad ogni gara, non rivolse la parola a Keke per un bel po’ di tempo dopo quell’episodio.

Nella gara successiva, a Gimli, non ci furono emozioni; il motore della macchina di Gilles diede forfait al ventisettesimo giro, costringendolo al ritiro. Guidando il suo motorhome sulla lunga strada che portava ad Edmonton, attraverso le pianeggianti e solitarie praterie, Gil era ansioso di riscattarsi. Sul circuito c’erano soltanto 12 mila spettatori, ma impazzirono tutti quanti perché ci fu una vera e propria battaglia tra Villeneuve ed il solito Rosberg. I due si urtavano dappertutto e fu uno dei più spettacolari duelli tra piloti al quale la gente avesse mai assistito. Keke lo ricorda così: “Gilles partiva dalla pole ed io lo tallonavo. Sapevo che con un bastardo come lui non avrei avuto molte possibilità, ma poi improvvisamente commise un errore e riuscii a raggiungerlo e ad appaiarmi; percorremmo una curva intera fianco a fianco, urtandoci a vicenda. Finimmo tutti e due fuori, io da un lato e lui dall'altro, ma rientrammo in pista a piena velocità esattamente nello stesso punto, urtandoci di nuovo. Vinse Gilles ed io arrivai secondo. Alla fine della corsa la mia vettura sembrava una fetta di torta da cui era stato strappato via un grosso morso. La ruota posteriore della macchina di Gilles mi aveva aperto la fiancata. Era un pilota incredibile, di lui ho molti ricordi piacevoli”.

Villeneuve è molto felice per il risultato, ma soprattutto per come è stato ottenuto perché era quello l’aspetto che amava veramente delle corse automobilistiche. Naturalmente, a fine gara, i due contendenti si dimostrarono entrambe soddisfatti e ci risero sopra ripensando all’episodio. Dopo Edmonton, Rosberg vince la sua prima corsa canadese di Formula Atlantic in luglio, proprio mentre il suo rivale debuttava in Formula 1, con la McLaren al Gran Premio d’Inghilterra. Ma prima di ciò Gilles approfitta dell’inaspettata opportunità di provare un’altra categoria: la Can-Am. La Canadian-American Challenge Cup Series è il massimo esempio di corse di velocità nel Nord America. Le luccicanti biposto a ruote coperte montavano motori americani di elevata potenza ed erano uno spettacolo mozzafiato. Le corse attiravano grandi folle che accorrevano per vedere quelle vetture guidate da famosi piloti internazionali. Mario Andretti, Jackie Stewart, Bruce McLaren erano solo alcuni dei nomi che nobilitavano la categoria, che in molte occasioni si dimostrava veloce tanto quanto la Formula 1. Fu Chris Amon che, in quel 1977, fornì inconsapevolmente a Villeneuve un tramite per guidare una vettura di quel genere. Il pilota neozelandese era ormai alla fine di una Carriera che lo aveva visto protagonista in Formula 1, anche se non aveva mai vinto un Gran Premio. Si era ritirato dalla massima formula nel 1976, accettando di correre per la scuderia di Walter Wolf nel campionato Can-Am appunto. Ma dopo qualche gara ne aveva abbastanza ed era pronto ad appendere il casco al chiodo. Ed è così che un giorno fece visita a Gaston Parent, grande amico di Wolf, dicendogli dell'intenzione di ritirarsi. Il problema era quello di trovare un pilota disposto a sostituirlo e che fosse gradito a Walter Wolf stesso. Parent telefonò all'amico, gli espose la situazione e gli suggerì un nome: Villeneuve. Wolf accettò subito con entusiasmo, ma Gilles non ne sapeva ancora nulla. Gaston Parent contattò allora il suo pupillo, che in quel momento si trovava nella sua casa a Berthierville, per comunicargli l’eventuale ingaggio, sempre che avesse avuto voglia di cimentarsi in un Campionato difficile e pericoloso come quello Can-Am. Quaranta minuti dopo, Gil era nell’ufficio del suo manager a Montréal, pronto ad accettare a qualsiasi condizione: non voleva soldi, voleva soltanto correre. E così, dopo un frettoloso accordo, il talentuoso canadese era il nuovo pilota della Walter Wolf Racing, avrebbe guidato la Dallara Chevrolet WD1 ed il team sarebbe stato tutto a sua completa disposizione. Gilles era al settimo cielo, all'improvviso per la prima volta in vita sua, era pagato per correre, non poteva ancora crederci.

La prima corsa fu sul circuito di Watkins Glen. La macchina era inguidabile, tutti lo sapevano, ma per Gilles era una sfida, qualsiasi risultato fosse riuscito ad ottenere sarebbe stato comunque un successo. Nessuno faceva pressioni su di lui e Gil si divertì come un matto a guidare quella terribile vettura riuscendo a qualificarla in quarta posizione. Ma la sua gara durò appena quattro giri, poi i freni cedettero e fu costretto a ritirarsi. Seguirono altre tre avventure nelle corse Can-Am; l’unica partecipazione che portò a termine fu quella di Elkhart Lake, dove partì in pole position, ma poi retrocesse e finì al terzo posto. Si ritirò invece sia a Mosport sia a Trois-Rivières e si classificò soltanto dodicesimo nella graduatoria finale del Campionato Can-Am 1977. In quell’anno vinse Patrick Tambay che si ripeté l'anno successivo, il 1978, mentre Gilles non prese più parte a quel tipo di gare.

Il 16 luglio 1978 si svolge il Gran Premio di Gran Bretagna sulla circuito di Silverstone. Un appuntamento classico, diventato importante perché la Renault aveva scelto quella gara per debuttare con una monoposto rivoluzionaria, azionata da un motore turbo. Con gli occhi concentrati sulla novità francese, con Lauda intento a conquistare un secondo posto prezioso con la Ferrari, quasi nessuno prestò attenzione ad un giovane sconosciuto arrivato dal Canada. A Gilles Villeneuve, popolare nel suo Paese per aver corso e vinto prima sulle motoslitte a 17 anni e poi in una categoria minore, la Formula Atlantic, era stata offerta la chance di gareggiare con una terza McLaren-Ford M23 ufficiale. Più che altro una comparsa, favorita da relazioni tra sponsor. Quasi alla chetichella, il piccolo e minuto Gilles, uno scricciolo calato nell’abitacolo della monoposto, aveva ottenuto un sorprendente nono posto nelle Qualifiche.

In un tiepido sabato pomeriggio, il rombo dei ventisei motori copre le voci della folla che acclamava i piloti. Al termine del primo giro la McLaren di Villeneuve è in settima posizione davanti a nomi più noti come Mass, Brambilla e Peterson. Passano i giri e l’esordiente con la monoposto numero 40 continua a tenere il passo dei più grandi piloti del mondo. Ad un certo punto Gilles nota che la temperatura dell'acqua sta salendo; al decimo giro l’acqua raggiunge il punto di ebollizione e Gil è costretto a rientrare ai box. Il suo arrivo inaspettato provoca immediatamente una frenetica agitazione ed i meccanici si diressero verso la parte posteriore della vettura per scoprire quale fosse la causa del problema. Quando ormai il gruppo di testa della corsa aveva già percorso due giri, uno dei meccanici constata che la spia dell’acqua era rotta; Gilles riparte come una furia lasciando dietro di sé due strisce nere di pneumatici. Riprende la corsa mentre le prime monoposto stanno completando il tredicesimo dei sessantotto giri previsti, fa correttamente passare i piloti di testa, che sono in lotta fra loro, e si accoda tenendo il loro passo sino alla fine, facendo segnare il quinto miglior tempo sul giro e classificandosi undicesimo assoluto. A fine gara Villeneuve eè molto contento della sua prova: “Se avessi ignorato la spia dell’acqua ed il motore si fosse fuso avrei agito come un principiante che non fa attenzione alle spie. Non volevo essere etichettato come tale e così mi sono fermato ai box. Dopo essere rientrato ed aver lasciato passare gli altri, ho proseguito mantenendo il mio ritmo ed ho capito che ce la facevo a stare dietro di loro, ero molto soddisfatto”. Se non fosse stato per quella che si era poi rilevata una sosta inutile ai box, Gilles avrebbe senz’altro terminato la corsa al quarto posto, ma la sua prestazione gli valse il titolo di “Pilota del giorno” ed il plauso di alcuni importanti giornalisti. La stampa era unanime nel giudicare quel pilota come un talento naturale incredibile e con un brillante futuro davanti a sé.

Villeneuve torna in Patria senza sapere quali altri Gran Premi avrebbe ancora corso con la McLaren; ad ogni modo affronta un mese di agosto denso di impegni, a cominciare dalle corse in Formula Atlantic dove torna nel Campionato in quarta posizione e con un gran bisogno di recuperare il tempo perduto. Ad Halifax, dopo essere partito in pole position, va in testacoda e si ritira quando è in quinta posizione. Sul circuito di St. Félicien, Gilles trasforma un’altra partenza dalla prima posizione in una convincente vittoria con quasi un minuto di vantaggio sul secondo arrivato. Poi è la volta di trasferirsi a Mosport per una gara Can-Am preceduta dalla 6 ore di Molson, prova valida per il Campionato Mondiale Marche, dove Gilles condivide una BMW privata con Eddie Cheever classificandosi terzo assoluto e primo nel Gruppo 5. Il giorno dopo, nella gara Can-Am, come al solito, Villeneuve non termina la corsa. Purtroppo in quei giorni ci fu anche l’incontro con Teddy Mayer che comunicò al pilota canadese che non avrebbe fatto valere la sua opzione in McLaren per il successivo 1978 e che si poteva ritenere libero di accettare qualsiasi proposta gli fosse arrivata.

Gilles tornò a Berthierville con un nodo alla gola, quella notizia era stata proprio un fulmine a ciel sereno, tanto che egli stesso si chiese se addirittura la sua Carriera di pilota non fosse già conclusa. Era sconvolto, non riusciva a capacitarsi del perché Mayer avesse cambiato idea, il suo morale aveva subito un duro colpo dopo che venne a sapere che Patrick Tambay, e non lui, avrebbe sostituito Jochen Mass nel Team McLaren per l'anno successivo. A questo punto iniziò un periodo d’incertezza proprio nel momento in cui si decideva il Campionato di Formula Atlantic. Gil era nervoso e lo dimostrò nelle gare successive dove perse per distrazione la possibilità di conquistare altre vittorie. Mancava ancora l’ultima corsa sul nuovo circuito di Quebec City e Gilles fece molta fatica a conquistare il terzo posto in griglia, dopo che nella prima sessione aveva distrutto la sua monoposto, costringendolo ad usare quella del suo compagno di scuderia per riuscire a spuntare un tempo decoroso. Gilles aveva bisogno di vincere e questa volta, aiutato anche da un pizzico di fortuna non si fece sfuggire la vittoria che gli valse anche il titolo di campione di Formula Atlantic per il secondo anno consecutivo. In tutto si era aggiudicato dodici delle venticinque gare a cui aveva preso parte, un record tuttora imbattuto, ma ormai l’avventura di Villeneuve in Formula Atlantic si era conclusa; egli aveva compreso infatti che un’altra Stagione nella stessa categoria, anche se fattibile, sarebbe stata equivalente ad un fallimento, una via senza sbocco per la sua rapidissima ascesa. Gilles non immaginava però che stava per dare il via alla sua carriera nella Formula più prestigiosa di tutte, con la scuderia più famosa nel mondo dell'automobilismo.

Dopo aver appreso il rifiuto della McLaren a farlo correre per il 1978 nella propria Scuderia, la quale gli preferiva il più maturo Tambay, Villeneuve torna con il suo motorhome a Berthierville guidando più piano del solito. Parcheggia vicino alla casa dei genitori, collega la linea elettrica e quella telefonica e si mise a fare pulizie con la moglie Joann. I suoi pensieri erano rivolti al futuro incerto, la sua esperienza in Formula 1 a Silverstone lo aveva convinto che quello era il mondo a cui apparteneva e la cronica carenza di fondi dopo anni di sacrifici e di privazioni, per lui e la sua famiglia, si sarebbero potuti ripagare solo con un ingaggio di un certo livello; d’altronde aveva ormai 27 anni e sapeva fare un solo mestiere: quello del pilota.

Villeneuve aveva appena un anno in meno di Lauda, con le sue ventisette primavere non poteva essere considerato un giovanissimo. E lo sapeva: tanto che barava sull’età, diceva di essere nato nel 1952, quando invece aveva visto la luce due anni prima, nel 1950. Enzo Ferrari, dal televisore della sua Casa a Modena, aveva notato quella strana McLaren con il numero 40, doppiata per problemi tecnici ma sempre veloce come le macchine di Hunt e di Lauda.

Prima della trasferta britannica, Ferrari, patron dell’omonima celebre Scuderia di Formula 1, aveva affidato una missione al Direttore Tecnico Ferrari Mauro Forghieri. Pregò a Forghieri di approfittare dell’imminente Gran Premio per dare un’occhiata ai piloti emergenti per sostituire eventualmente Lauda. Forghieri parlò molto bene a Enzo di quel canadese piccolo e ignoto. Era rimasto colpito dalla sua prestazione. Con la relazione di Forghieri, gli tornarono alla memoria le confidenze di due amici: Walter Wolf, un eccentrico miliardario che aveva dato il suo nome ad una monoposto iscritta al Mondiale di Formula l, e Chris Amon, ex pilota neozelandese di Formula 1 che aveva lavorato a lungo per la Casa del Cavallino. Entrambi avevano espresso giudizi lusinghieri sullo sconosciuto canadese. Amon si era addirittura sbilanciato: “Villeneuve ha un incredibile talento naturale e un infinito entusiasmo. Per ora va spesso in testacoda, ma per lui è soltanto questione di capire i limiti della vettura. Il suo controllo della macchina è stupefacente e ha un coraggio disumano”.

E venne il giorno in cui i meccanici Ferrari cominciarono a pensare che forse Enzo Ferrari era semplicemente troppo vecchio per continuare a fare il padre padrone del Cavallino. No: era una decisione improvvisa e repentina di un uomo che conservava la voglia di stupire. Un uomo che, con entusiasmo giovanile, stava inventandosi l’ultima, straordinaria scommessa della sua esistenza. Enzo Ferrari doveva sostituire il Campione uscente, il pilota austriaco Niki Lauda, in fretta e furia, addirittura per le due gare finali del Campionato del Mondo di Formula 1 1977, non intendendo Lauda continuare a salire sulla macchina rossa ora che niente e nessuno potevano togliergli la consacrazione iridata.

Il Vecchio avrebbe puntato sicuramente su un pilota di nome, affermato e collaudato, in grado di vincere subito. Accanto al pilota argentino Carlos Reutemann, che sarebbe rimasto in Ferrari per un altro anno, sarebbe arrivato Mario Andretti, un americano di origini italiane molto veloce e molto amato dagli appassionati di Automobilismo. Oppure Alan Jones, un emergente australiano. O il brasiliano saggio Emerson Fittipaldi, già due volte Campione del Mondo con la Lotus-Ford e con la McLaren-Ford. O lo svedese Ronnie Peterson, un “maniaco” di grande coraggio. O l’irlandese John Watson, scafato veterano dei circuiti. O il sudafricano Jody Scheckter, che aveva lottato per il Titolo al volante di una Wolf-Ford. Tutta gente che forse non eguagliava il mitico Lauda, ma che contro Lauda, passato per la Stagione 1978 alla Brabham motorizzata Alfa Romeo, avrebbe combattuto con ragionevoli possibilità di successo.

In effetti, Enzo non aveva dubbi. Cosa gli avevano rimproverato, in circostanze diverse, personaggi come Fangio e come Moss? Di mettere sempre se stesso, cioè la macchina rossa, davanti a qualunque altra cosa, a qualunque sentimento. A qualunque pilota. Bene: stavolta il pilota se lo sarebbe fabbricato in casa. Se lo sarebbe costruito da solo. Avrebbe sfidato le raccomandazioni della critica, i suggerimenti più o meno interessati degli sponsor, i consigli dei collaboratori e degli amici. A quasi ottant’anni, Ferrari era pronto a rimettersi in gioco: fosse fallita l’operazione che aveva in mente, come in effetti poteva fallire, il suo prestigio sarebbe stato incrinato, le sue intuizioni sarebbero state messe in discussione e forte sarebbe stato, anche tra i tifosi, il desiderio di attribuire esclusivamente a Lauda e al suo talento al volante i trionfi più recenti. Ma l’uomo ormai aveva deciso. Chiamò i suoi fidati collaboratori e prese un importante decisione: “Contattate immediatamente Gilles Villeneuve…”

Con questa frase nei pensieri, Ferrari disse ai suoi collaboratori di organizzare l’appuntamento. Gilles, sbalordito, in un primo momento pensò ad uno scherzo di cattivo gusto. Fece un discreto controllo: era tutto vero. Prese da parte la moglie, Joann, e si fece mettere quattro cose in valigia: sarebbe immediatamente partito per l’Italia. A Maranello, gli operai del Vecchio scuotevano il capo. “Ville chi?” La notizia era ormai trapelata: il successore di Lauda, l'erede del due volte Campione del Mondo, il pilota chiamato a sostituire l’eroe sopravvissuto al rogo del Nürburgring, era un nordamericano senza curriculum e senza “nome”. A Fiorano, venne ordinato ai meccanici Ferrari di adattare la pedaliera, Gilles era alto solo un metro e sessantotto e doveva fare i primi giri di prova con la macchina di Lauda, che era molto più alto. Quando la vettura fu pronta, Villeneuve partì come un indemoniato. Andò subito in testacoda. Ai box ci guardammo preoccupati. Ma Ferrari era lì, si era seduto sul muretto, guardava e sorrideva…Sorrideva perché era felice: “Amo pensare che la Ferrari può costruire i piloti come le macchine. A chi mi dice che Gilles è un pazzo, ho risposto così: lasciate che provi”. Prima ancora di vederlo nell’ abitacolo della sua macchina, a Enzo quel minuscolo canadese era piaciuto d’istinto. Il suo temperamento in pista gli ricordava due Assi del volante del passato: il francese Jean Behra e il messicano Pedro Rodriguez. Quando se lo era trovato davanti, in ufficio, aveva avuto l’impressione che Villeneuve, se fosse stato necessario, avrebbe pagato lui, di tasca propria, pur di diventare un pilota Ferrari. E tanta euforia già ripagava Ferrari della scelta. Difesa, sin dall’inizio, contro tutto e contro tutti: “È una scommessa che ho fatto con me stesso”, ripeteva il Vecchio. E si divertiva a calcare la mano: “So benissimo che nessuno punterebbe mai dei soldi su di lui. Ma io sì”.

Per cominciare, a Gilles aveva garantito un ingaggio di settantacinquemila dollari all’anno. Più una quota degli introiti pubblicitari. E ancora un contributo per le spese di “famiglia”: Villeneuve era un tipo originale, viaggiava per il mondo con la moglie Joann e i due figli, Jacques e Melanie, sempre al seguito. Gilles si era sposato molto giovane ed era diventato padre all’età di 27 anni. Compensava il suo talento esplosivo con una tranquilla vita familiare. Detestava gli alberghi, dormiva all’interno dei circuiti, su un motorhome che aveva trasformato in una residenza ambulante. Mangiava solo hamburger, patatine, bistecche e beveva Coca-Cola. Suonava il suo piano elettrico nei momenti liberi. Era persino pittoresco nel suo entusiasmo naïf: quando Enzo gli disse di tenersi pronto, perché probabilmente avrebbe corso subito nel mondiale, Gilles si tirò dietro da Maranello al Canada il sedile della monoposto, predisposto d’urgenza dai tecnici del Reparto Corse. E litigò con gli steward dell’Alitalia, che volevano fargli spedire il sedile con i bagagli. “Il sedile viaggia con me” sbottò il piccolo canadese. “Non posso permettermi di perderlo. È di Ferrari”. Lo accontentarono: Enzo Ferrari fu informato dell’ episodio e gli luccicarono gli occhi.

Il 9 ottobre del 1977, sul circuito di Mosport, era in programma il Gran Premio del Canada. La macchina di Lauda venne ufficialmente affidata a Gilles Villeneuve. Che, per la verità, alimentò le perplessità degli scettici: poco brillante in prova, il neo ferrarista si prese troppa confidenza con la frizione, durante la gara. Risultato: distrusse l’albero di trasmissione. Un inizio desolante: in Italia, le critiche si sprecarono. Ma il peggio doveva ancora venire. Quindici giorni dopo, il 23 ottobre, il Campionato del Mondo si concludeva in Giappone, sulla pista del Mont Fuji. Doveva essere una semplice passerella finale: l'assente Lauda si era già laureato campione del mondo e la Ferrari aveva già matematicamente conquistato il trofeo riservato ai costruttori. La partecipazione del giovane Gilles rappresentava l’unica nota d'interesse. Ancora a disagio al volante della Ferrari 312 T2, una macchina pensata per Lauda e poco adatta al suo stile di guida, Villeneuve andò malissimo nelle qualifiche: ottenne il ventesimo tempo. Pensava di rifarsi in gara: gli piaceva rimontare posizioni su posizioni, lo avrebbe fatto anche questa volta. Al sesto giro, la Ferrari del canadese andò all'attacco della Tyrrell-Ford P34 dello svedese Ronnie Peterson. La Tyrrell era una vettura molto particolare, unica nel suo genere: aveva infatti sei ruote, quattro anteriori di dimensioni ridotte e due posteriori. Forse furono le sei ruote a innescare un terribile incidente: all’altezza della Curva del Diavolo, la Rossa di Gilles tamponò violentemente la monoposto di Peterson. La Ferrari decollò. Ricadde pesantemente sull’asfalto e infine travolse un gruppo di persone assiepate ai bordi del circuito. Un addetto alla sicurezza e un fotografo morirono sul colpo. Ci furono dodici feriti. Villeneuve uscì miracolosamente indenne dai rottami della sua macchina: non aveva un graffio. Ma era sotto shock. Disse a Peterson che era stata la rottura dei freni a innescare la collisione. Il pilota svedese, parlando con i giornalisti, accennò garbatamente alla inesperienza del collega. La Polizia giapponese aprì un’inchiesta, ma alla fine di una lunga indagine non mosse addebiti al canadese. Venne anche dimostrato che i tifosi avevano occupato una zona “off limits”, invadendo un’area proibita al pubblico. In Italia, la notizia della disgrazia arrivò con i notiziari della domenica mattina. Anche a Maranello tanti pensarono quello che molti commentatori andavano già dicendo e scrivendo: Enzo Ferrari aveva perso la sua insensata scommessa.

Ma il Vecchio non aveva alcuna intenzione di cambiare idea. Un po’ per orgoglio: non rientrava nel suo stile rimangiarsi una scelta poche settimane dopo averla compiuta. E molto per convinzione: a lui Villeneuve piaceva sul serio, andava a bordo pista a Fiorano per vederlo guidare e ogni volta, ammirandone gli imbarazzanti testacoda e le selvagge sbandate, avvertiva una sensazione precisa. Nuvolari, sì: inesorabilmente, Gilles e il suo modo di essere pilota mandavano indietro il nastro della memoria, favorendo un paragone proibito, il paragone con Tazio. Ma era troppo presto per dirlo apertamente. Villeneuve doveva ancora dimostrare tutto. Almeno agli altri. Così, alla vigilia del Mondiale di Formula 1 1978, Ferrari si limitò a respingere le richieste di licenziarlo. Disse ai giornalisti: “È troppo presto per giudicarlo. lo l’ho ingaggiato perché ha talento. Finora ha avuto sfortuna, ma resto convinto che abbia i numeri per affermarsi”. Protetto dal “Boss”, come lo chiamava con gli amici, Gilles non modificò di una virgola il suo modo di affrontare le competizioni. “Voleva sempre essere il più veloce, ad ogni giro”, disse di lui il sudafricano Jody Scheckter. Sempre all'attacco. Sempre pronto a scavalcare la barriera del limite: suo e della monoposto. Per imparare, imparava: ma ai meccanici restituiva macchine bisognose di riparazioni. “È il mio principe distruttore”, raccontava Ferrari ridendo. E Forghieri, che di quanto restava delle Rosse affidate a Gilles doveva poi occuparsi, non si arrabbiava. O meglio, si arrabbiava: “Mio marito con Mauro ebbe anche litigi furiosi” ricorda Joann. “Ma si stimavano, avevano voglia di lavorare assieme e alla fine tutto si aggiustava”. Non si aggiustavano le Ferrari che scassava. Villeneuve ebbe un incidente in Brasile. Decollò sulla Shadow-Ford di Clay Ragazzoni a Long Beach. Si schiantò sotto il tunnel a Montecarlo. Eppure, più le sue disavventure si moltiplicavano e più i tifosi del Cavallino Rampante gli volevano bene. Avevano capito, cominciavano a capire la scelta del Vecchio. Gilles aveva saputo che una volta proprio le parole del giornalista Pino Allievi, inviato della “Gazzetta dello Sport”. “Ma lo sai che Ronnie Peterson alla tal curva frena dieci metri dopo di te?”, avevano spinto Gilles, il giorno dopo, a rischiare un incidente rovinoso, pur di tirare la staccata venti metri, non dieci, più in là. “Per anni la Formula Uno era stata dominata da piloti che sembravano robot” dice Marcello Sabbatini, allora direttore del settimanale “Autosprint”. “Non a caso uno come Lauda era stato soprannominato “computer”, mentre il brasiliano Fittipaldi aveva fama di ragioniere. Puntando su Gilles, Ferrari rimise l’ardimento, il cuore, il coraggio là dove dovevano stare: al primo posto...” E così nacque la febbre-Villeneuve. Più di cento Ferrari Club, in Italia e all'estero, vennero dedicati allo spericolato canadese. Che continuava a fare numeri incredibili in pista: infilava la macchina dove non c’era posto, completava un giro su tre ruote, si schiantava e ripartiva. Nell’arco di una Carriera troppo breve, ne avrebbe combinate “con audacia nuvolariana”, pensava il Vecchio di tutti i colori: una volta restò in pista con l'ala anteriore che gli ostruiva la vista, tirava dritto e viaggiava alla cieca e non gli importava. I tifosi, sempre più innamorati, lo ribattezzarono “Voladineuve” per le sue frequenti uscite di pista. I meccanici di Forghieri lo chiamavano “l’aviatore”.

Ormai, per celebrare il trionfo della sua scommessa, a Enzo Ferrari non restava che attendere una cosa: la prima vittoria di Gilles. Non ci fu da aspettare tanto: 1’8 ottobre del 1978, davanti al pubblico di Montréal, Villeneuve conquistò il Gran Premio del Canada. Chiuse il Mondiale al nono posto, con 17 punti, molto lontano dal nuovo Campione del Mondo Mario Andretti, laureatosi iridato con la Lotus-Ford. “Onestamente fece più incidenti che punti” dice Ermes Gambarelli, il meccanico che aveva lavorato per Lauda e ora lavorava per Gilles. “Ma ci dimostrò che il Vecchio, ancora una volta, aveva avuto ragione”. A Maranello, il Vecchio così commentò il successo di Montreal: “Villeneuve rappresenta una luminosa speranza che è diventata realtà”.

Nessuno più si chiedeva se Gilles fosse l’uomo giusto per il Cavallino. Le perplessità sul suo conto erano svanite. Persino Niki Lauda ne parlava con rispetto: “È un pilota incredibilmente veloce, è un legittimo candidato al Titolo”. Tra Villenueve e il Vecchio, il rapporto era straordinariamente schietto. Il canadese era capace di ripresentarsi a Maranello, dopo un Gran Premio andato male, con una faccia da funerale. Entrava nell’ufficio di Enzo e sbottava: “Domenica la tua macchina faceva schifo, a guidarla mi veniva da vomitare”. E Ferrari se lo lasciava dire, lui che era tanto orgoglioso delle sue vetture che confezionava, perché sapeva che un istante dopo quel piccolo scatenato demonio avrebbe aggiunto: “Comunque io l’ho portata al massimo, l’ho violentata, aggredita, divorata, perché a me basta salirci sopra, basta sentire il rombo del motore e le gomme che fischiano...” Per la Stagione di Formula 1 1979, Mauro Forghieri aveva preparato la Ferrari T4 “ciabatta”: una monoposto non bellissima a vedersi, ma geniale nella interpretazione della evoluzione aerodinamica. Per guidarla, Ferrari aveva deciso di affiancare a Gilles Villeneuve un pilota maturo, dotato della necessaria esperienza: Jody Scheckter, coetaneo del canadese ma con alle spalle già sei Stagioni di Formula 1 e otto vittorie. Nessuno, all’epoca, avrebbe osato immaginarlo, ma la rossa di Forghieri, di Jody e di Gilles sarebbe stata l’ultima a vincere il Mondiale. Per ben ventuno anni, fino al 2000, fino a Michael Schumacher, la Ferrari del 1979 sarebbe rimasta senza eredi. Fra il canadese e il sudafricano, la collaborazione fu leale. Scheckter un po’ pativa la popolarità, ormai enorme, del compagno di Squadra. “Una volta ci fermammo con la macchina a un autogrill per fare il pieno” racconta il pilota sudafricano. “Io ero in testa al Campionato del Mondo, non lui. Beh, il distributore chiese l’autografo soltanto a lui! Gli italiani, ma direi tutti i ferraristi, impazzivano per Gilles”. E anche Jody impazziva per Villeneuve: quando facevano in macchina il viaggio da Montecarlo, dove entrambi vivevano, alla pista di Fiorano, il canadese si divertiva a far saltare il cuore in gola al sudafricano, guidando in autostrada come su una pista da Gran Premio. “Non solo” ricorda Jody. “Quando prese il brevetto da pilota da elicottero, una volta Gilles si divertì a farmi credere che stavamo rischiando di precipitare. Il bello è che era vero: lui aveva portato al limite la batteria, restò per aria accendendo e spegnendo il motore, mentre io me la facevo sotto per il terrore...” I due piloti diventarono amici. Villeneuve aveva iniziato la Stagione alla grande, vincendo proprio a casa di Jody, in Sudafrica, e poi a Long Beach. Ma non fece storie quando le sue sfortune e i meriti del collega proiettarono Scheckter in vetta alla Classifica iridata: accettò anzi di coprire le spalle a Scheckter nella corsa decisiva, a Monza. Dove, in un tripudio di bandiere rosse, la Scuderia Ferrari festeggiò il Titolo. “Era giusto così e sono certo che la scuderia saprà ripagarmi”: queste parole del canadese fecero bene al cuore del Vecchio. Anche se il Campione era Scheckter, il binomio Ferrari-Villeneuve era all’apice della popolarità. Gilles aveva concluso la stagione al secondo posto: ai trionfi in Sudafrica e a Long Beach aveva aggiunto, nel finale, il successo di Watkins Glen. Soprattutto aveva consolidato l’immagine di pilota temerario. In Belgio era rimasto senza benzina a poche centinaia di metri dal traguardo, dopo aver recuperato addirittura un giro su chi lo precedeva. A Digione, nel Gran Premio di Francia, aveva difeso la piazza d’onore dopo un clamoroso duello “ruota contro ruota” entrato di diritto nella Storia della Formula 1, protratto si per più di un giro, con la Renault di René Amoux. E ancora Enzo aveva avvertito la tentazione di dire ad alta voce che, sì, quel canadese era l'unico erede di Tazio Nuvolari. Ma di nuovo si era morso la lingua.

Nella Stagione 1980, occasioni di gridare al miracolo non ce ne furono. A Maranello sbagliarono completamente macchina e ormai Forghieri era proiettato sul motore turbo, che avrebbe debuttato sulla Ferrari soltanto nella Stagione seguente. Gilles ci mise l’anima, come sempre. Ma soltanto in quattro occasioni andò a punti. Incappò nella consueta sequenza di incidenti, come nel terrificante botto Imola nella curva che oggi porta il suo nome. Ma più perdeva, più “volava” e più la gente gli si affezionava. E il Vecchio di lui si fidava: dopo l’ennesima sconfitta, Villeneuve inviò un fax a Enzo. Conteneva una dettagliata relazione su quanto era accaduto in pista. Ferrari la lesse e poi chiese al canadese di non smettere: ogni lunedì avrebbe atteso in ufficio a Maranello il suo resoconto scritto.

Gilles invece aspettava il motore turbo…Lo ebbe a disposizione nel Mondiale di Formula 1 1981: le incredibili potenze sprigionate dai propulsori sovralimentati lo eccitavano. Doveva fare i conti con i problemi di affidabilità e con i limiti aerodinamici della nuova Ferrari “126 C”, la sua macchina. Ma era convinto di aver fatto bene a rifiutare le proposte di altre Squadre. Pur non essendosi mai laureato Campione del Mondo, era il pilota più famoso. Non a caso: il 31 maggio, a Montecarlo, Villeneuve dimostrò che anche con il turbo si poteva vincere tra i marciapiedi e le stradine del Principato. Le sue quotazioni salirono alle stelle. Ron Dennis arrivò ad offrirgli tre milioni e mezzo di dollari (una cifra enorme per l’epoca) pur di riaverlo sulla McLaren-Ford nella Stagione 1982. Gilles vacillò. “Ma non riuscirei mai a dirlo a Ferrari”, spiegò alla moglie Joann. Il rapporto speciale tra i due, tra il Vecchio e l'aviatore, sembrava più forte delle tentazioni. Anche perché il 21 giugno del 1981, sul tracciato spagnolo di Jarama, Gilles Villeneuve firmò la più strabiliante impresa della sua Carriera. Con una Rossa che faticava a tenere la strada, si tenne dietro per tutta la gara ben quattro monoposto. Sotto la bandiera a scacchi precedette di due decimi la Ligier-Ford di Jacques Laffite, di cinque decimi la McLaren-Ford di John Watson, di un secondo la Williams-Ford dell’ex compagno Carlos Reutemann e di un secondo e due decimi la Lotus-Ford di De Angelis. Questa volta, Enzo Ferrari non si trattenne. Mise nero su bianco quanto il cuore gli aveva suggerito sin dalle prime apparizioni di Villeneuve a Fiorano: «Ieri Gilles Villeneuve mi ha fatto rivivere la leggenda di Nuvolari».

Ma al nuovo Nuvolari, ufficialmente e definitivamente consacrato, il Vecchio non riuscì a garantire la macchina per vincere il titolo. Dopo il capolavoro spagnolo, la Ferrari turbo “126C” rivelò molti limiti. Ferrari ne parlò pubblicamente: “Se abbiamo vinto a Montecarlo e a Jarama, lo dobbiamo esclusivamente alle qualità di Villeneuve e per nessun altro motivo. A me lui piace così com’è, con la sua stupefacente aggressività e con la sua disponibilità ad affrontare i rischi più grandi”. Gilles, per quanto deluso dall' esito stagionale, ricambiava così: “Con Ferrari ho un rapporto molto diretto, molto franco. All'inizio ignoravo quasi tutto di lui, ora invece ci conosciamo e stiamo bene assieme. Penso che chi lo critica sul piano umano abbia torto, lui è una delle persone più umane della Formula 1”. Al suo pupillo canadese, il Vecchio aveva affiancato un giovanotto francese: Didier Pironi. Alla fine del 1980 Jody Scheckter, appagato e demotivato, aveva abbandonato le corse. A Pironi si pose lo stesso problema affrontato, nel 1979, dal sudafricano: come reggere il confronto con la straripante popolarità di Gilles e con la sua esuberanza agonistica. Sapendo che Ferrari, di regola, non stabiliva ordini di gerarchia tra i suoi dipendenti “al volante”. Almeno, non alla vigilia della nuova Stagione. Nei primi tempi, fra Villeneuve e il nuovo compagno le cose funzionarono bene. Ma nel 1982 Forghieri, con l’aiuto dell’ingegnere britannico Harvey Postlethwaite, aveva confezionato una macchina eccezionale: la Ferrari turbo “126 C2” era una vettura che finalmente coniugava la potenza del turbo con l’efficacia aerodinamica. Era una vettura da Mondiale. Ma il Mondiale è uno, i piloti di Maranello che volevano vincere erano due.

E fu così che il 25 aprile 1982 decine di migliaia di tifosi del Cavallino presero d’assalto l’autodromo di Imola. Nelle prime tre gare della Stagione, Villeneuve e Pironi non erano riusciti a vincere. Però il livello delle prestazioni era tale che pochi avevano dubbi: la Ferrari avrebbe dominato il Campionato. Quel giorno, sulla Griglia di Partenza del Gran Premio di San Marino, si schierarono soltanto 14 vetture: una lite tra Federazione e costruttori aveva spinto allo “sciopero” le scuderie britanniche. Alla gente non interessava: Gilles e Didier avrebbero dato spettacolo. Con i bolidi del Vecchio. Sul circuito che portava il nome di suo figlio Dino. Lo diedero, lo spettacolo. Ma persino Ferrari, davanti al televisore di casa, rimase sbalordito quando, nel finale della corsa, Pironi andò all’attacco del compagno canadese, che stava conducendo la gara. Villeneuve, che nel 1979 aveva lealmente aiutato Scheckter, si sentì tradito. Perse il Gran Premio e decise di troncare i rapporti con il collega. Probabilmente sul suo stato d’animo influì anche una situazione personale pesante: Gilles, per anni legatissimo a Joann, conosciuta quando ancora era un Mister Nessuno, si era innamorato di un’altra donna. Aveva anche pensato al divorzio, ma l’affetto per la moglie e i sensi di colpa nei confronti dei figli, Jacques e Melanie, lo avevano bloccato. Con il maschietto, in particolare, Gilles non legava più di tanto: gli faceva guidare la macchina “Ha otto anni” disse una volta nel 1979. “Io me lo prendo sulle gambe e gli do il volante in mano, sa già affrontare le curve a cento all’ora...”. Gli voleva bene, eppure lo opprimeva con raccomandazioni continue. “Lo avrebbe voluto perfetto” spiega Joann. “Mentre alla bambina perdonava tutto”. Ferrari era al corrente del malessere esistenziale del suo pupillo. E fu fra i tanti che pensarono che, se quella domenica a Imola Mauro Forghieri fosse stato ai box, beh, Forghieri avrebbe saputo impartire ordini chiari ai due piloti e nulla sarebbe accaduto. Ma Forghieri, purtroppo, non c’era, fu trattenuto a casa da impegni familiari. E inutili si rivelarono i tentativi di Ferrari di aggiustare le cose: un incontro fra lui, il francese e il canadese si risolse in un fallimento. Pironi continuò a sostenere di non aver violato le consegne della Scuderia. Anche Joanna no si fidava di Pironi. Il pilota francese non aveva neppure invitato Gilles al suo matrimonio, ma il pilota canadese pensò che Pironi se ne fosse semplicemente dimenticato.

Certo del contrario, esasperato dalla delusione, poco confortato dal fatto che Forghieri e lo stesso Ferrari avessero lasciato capire di condividere la sua amarezza, Villeneuve si presentò a Zolder, sede del Gran Premio del Belgio, con i nervi a fior di pelle e con una sola idea in testa: battere Pironi. Aveva anche deciso di abbandonare la Scuderia Ferrari: nel 1983 si sarebbe iscritto al Mondiale con un’altra Squadra, probabilmente avrebbe accettato le offerte della McLaren. E nemmeno escludeva di dare il suo nome a un nuovo Team. Ormai Gilles vedeva in Didier un nemico. Doveva batterlo. A qualunque costo. In ogni situazione. Alle 13:52 di sabato 8 maggio 1982 la Rossa n°27 di Gilles Villeneuve tamponò violentemente per un incomprensione fatale la March-Ford n°17 del pilota tedesco Jochen Mass. Erano in corso di svolgimento le Qualifiche e Villeneuve aveva un tempo peggiore di quello di Pironi. Andò in pista per un ultimo tentativo indemoniato. La collisione con la vettura Mass fu terrificante. E terrificanti furono le immagini televisive: il corpo del piccolo canadese venne sbalzato fuori dalla “126 C2” e nell’urto il casco si strappò e rotolò vicino a lui. Mass fu il primo a praticargli il massaggio cardiaco. Ma non c’era più niente da fare. Gilles l’aviatore, l’uomo che al volante di una Rossa aveva addirittura sfidato in accelerazione un caccia militare, trovava la morte alla fine dell’ultimo volo. Alle 21:12 il suo cuore cessa di battere dopo che i medici hanno staccato le macchine che lo tenevano in vita. Dopo il terribile incidente il pomeriggio non ha più ripreso conoscenza, con il collo spezzato tra la prima e la seconda vertebra. Nell’impatto contro il paletto a bordo pista, si è verificato il distacco netto tra la prima e la seconda vertebra cervicale. In ogni caso, se fosse sopravvissuto, sarebbe rimasto paralizzato dalla testa in giù. Milioni di telespettatori vivono in diretta l’avvenimento e poco dopo apprendono che “lo spettacolo è finito”: Gilles è morto. Quando fu chiaro che per il Campione canadese non c’era nulla da fare, Enzo Ferrari pianse. Lacrime amare e silenziose. Per un pilota, non l’aveva mai fatto. Ma Villeneuve non era uno come gli altri. Non lo era mai stato. Soprattutto, non poteva esserlo per lui. “Il mio passato” disse il Vecchio di Maranello “è pieno di dolore e di tristi ricordi: mio padre, mia madre, mio fratello e mio figlio. Ora quando mi guardo indietro vedo tutti quelli che ho amato. E tra loro vi è anche questo grande uomo, Gilles Villeneuve. Io gli volevo bene…” Il corpo di Gilles fu riportato in Canada su un Boeing 707 dell’Aeronautica Canadese, su istruzioni del primo ministro di allora Pierre Elliot Trudeau, e venne cremato. Al funerale di Gilles parteciparono pochi personaggi della Formula 1. C’era Bruno Giacomelli (con la sua ragazza, Linda), René Arnoux, Jody Scheckter. Il pilota sudafricano fu l’unico a prendere parola nella chiesa di Berthierville, dove pronunciò un bellissimo discorso a ricordo dell’amico scomparso. Nel piccolo cimitero di Berthierville una lapide ricorda il pilota canadese, le cui ceneri furono riportate a Montecarlo dalla moglie Johanna.

Un anno dopo, Enzo Ferrari uscì dall’ufficio di Maranello per assistere alla inaugurazione di un busto dedicato al piccolo eroe canadese. Tra la folla c’erano anche la famiglia Villeneuve: la vedova Joann e i figli Jacques e Melanie. Con la voce incrinata dalla commozione, il Vecchio si avvicinò al figlio di Gilles. Lo baciò sul viso e gli sussurrò in un orecchio: “Prova ad essere degno di tuo papà, se da grande ti piacesse guidare auto da corsa mi piacerebbe aiutarti a diventare Campione del Mondo”. Non ne ebbe il tempo.

Ma Jacques Villeneuve coronò il sogno che era stato del padre e di Enzo Ferrari: il 26 ottobre 1997, facendo terribilmente soffrire i tifosi del Cavallino Rampante, al volante di una Williams-Renault FW19 soffiò a Michael Schumacher, sulla pista andalusa di Jerez, il Titolo Mondiale Piloti. Quel giorno, Gilles sarebbe stato sicuramente orgoglioso di suo figlio Jacques. Resta solo il rimpianto per quello che Gilles Villeneuve poteva diventare. Un pilota che non si è mai risparmiato, che ha tritato semiassi, cambi, frizioni, freni, ma che ha sempre dato tutto se stesso per vincere. Quando Dio lo ha richiamato in cielo, nel suo Albo d’Oro ci sono soltanto sei vittorie e non c’è traccia di quel Titolo Mondiale che quindici anni dopo suo figlio Jacques gli dedicherà…

LA CARRIERA IN FORMULA 1

Debutto: Gran Premio di Gran Bretagna 1977 (Silverstone) su McLaren-Ford M23

Ultima gara: Gran Premio di San Marino 1982 (Imola) su Ferrari 126C2

 
GP disputati  67 Stagioni  6
Pole Position  2 Giri Più Veloci  7
Punti  101 (107)*    

Piazzamenti a punti

 6   5   8   2   3   3       

CAMPIONATO DEL MONDO DI F.1

Anno

Team GP PP GPV Vittorie Posizione finale

Punti

 1977 

 Ferrari 312T2        

  

  

  

 McLaren-Ford M23  3      

  

  

 1978 

 Ferrari 312T2/312T3  16    1  1

 9° 

 17 

 1979 

 Ferrari 312T3/312T4  15  1  5  3

 2° 

 47 (53)* 

 1980 

 Ferrari 312T5  14      

 14° 

 6 

 1981 

 Ferrari 126CK  15  1  1  2

 7° 

 25 

 1982 

 Ferrari 126C2  4      

 15° 

 6 

* Fuori dalla parentesi i punti ritenuti validi ai fini iridati

 

GALLERIA IMMAGINI